Una produzione tedesca (Constantin Film) per la leggenda della Papessa Giovanna, tratto dal libro di Donna Woolfolk Cross
Regista: Sönke Wortmann
Attori: Johanna Wokalek, David Wenham, John Goodman, Iain Glen, Edward Petherbridge, Anatole Taubman
A.D. 887, Roma.
Una voce narrante maschile (Arnaldo, vescovo di Parigi), unico e ultimo testimone dei fatti, racconta una storia che –ammonisce- presto sarà cancellata e tramutata in qualcosa di mai esistito, perché che una donna ascenda al soglio pontificio era stato (ed è tuttora) un abominio.
Due premesse: una storica e un’altra personale, prima di andare avanti.
La prima, è che non è mai esistita una papessa Giovanna, ma la sua leggenda sì, ed è stata tanto potente da lasciare dietro di sé una scia di usi, costumi e convinzioni (tra tutte, l’uso –documentato ma mai eseguito- della verifica manu che effettivamente il pontefice fosse a tutti gli effetti un maschio 1) che testimoniano quanto il solo pensiero di un papa donna facesse paura e attraesse al tempo stesso. Secondo la leggenda, il 17 luglio dell’855 salì al soglio papale una donna inglese, educata a Magonza e nota sotto il falso nome di Johannes Anglicus, che prese il nome di Giovanni VIII. I particolari del suo smascheramento sono vari, e tutti infamanti. I suoi successori ebbero cura di omettere il suo nome dalle cronache storiche, e vi fu persino un secondo Giovanni VIII, per meglio occultare il nome del suo scandaloso omonimo. La prima pubblicazione della leggenda risale al 1240, ad opera del cronista domenicano Giovanni di Metz: la sua redazione e diffusione sono probabilmente da inserirsi nel forte clima antipapale durante l’età di Federico II di Svevia (morto nel 1250).
La premessa personale: ho sempre pensato che sia ingiusto escludere le donne dalla carriera ecclesiastica, soprattutto perché tale esclusione si basa su atavici pregiudizi di tipo sessista e maschilista. Quindi, benché sappia perfettamente che nessuna papessa è mai esistita, mi piace pensare che invece la storia di Giovanna sia vera.
E veniamo al film: riprende la leggenda, naturalmente, ma dipinge e racconta la storia di una donna, e di che cosa ha dovuto subire, e cosa ha saputo fare, precisamente perché donna.
Nasce a Ingelheim (sede di uno dei palazzi di Carlo Magno), l’anno della morte di Carlo Magno –e per chi mastica un po’ di simbologia medievale, come me, questa scelta significa che la grandezza di Carlo Magno passa a lei-; figlia di un prete capace di riassumere in sé tutti gli aspetti più odiosi della visione maschilista del mondo, la piccola Giovanna è indesiderata fin dal suo primo vagito perché femmina. Ma ha il segno del comando, e si rivela un genio: precocissima nell’imparare a leggere e scrivere –grazie all’amore del fratello maggiore che le insegna di nascosto perché a lei, femmina, è negato il diritto allo studio e a qualsiasi altra cosa e grazie a cui scopre che le donne non sono oggetti nelle mani dei maschi-, è una ragazzina curiosa e perspicace, capace di incantare un anziano saggio religioso -Esculapio, nomen omen- che, in visita nel villaggio dove lei vive e di cui il padre è il parroco, la propone –in vece del suo secondo fratello (il primo muore di febbre e la lascia sola) che non solo è una zucca, ma non ha nessuna intenzione di studiare- per il monastero, per avviarla a una vita di santi e fruttuosi studi. Grazie al saggio, di cui diventa discepola nel periodo del suo soggiorno presso il villaggio, Giovanna conosce, conosce, e più conosce più la sua anima si fa grande; questo è il cuore della sua storia: la sete di sapere è giusta, è santa e legittima. Tutto ciò che può essere conosciuto merita l’ardente attenzione di un cuore assetato, e non vi è differenza tra storia, poesia e scienza, perché tutto è santo. Anche il NO di Giovanna al bruto che è il padre è santo, ed è prova della sua forza, e della sua grandezza. Con il fratello riesce andare a studiare, e colpisce tutti, sempre, per la sua cultura e la sua arguzia. E mai, mai smette di difendere le donne, benché venga pesantemente osteggiata da chi dovrebbe invece sostenerla.
Tutto quello che la ragazzina impara, lo vive e lo sperimenta sulla propria pelle: dall’Odissea alla conoscenza del cielo e delle erbe, all’amore. Il conte Gerold, che la ospita –perché lei, in quanto femmina– non può dormire con gli altri studenti, le aprirà il cuore alla scoperta di sé e all’amore: resterà con lei fino alla fine.
Perché femmina, Giovanna decide di trasformarsi in maschio: si taglia i capelli, si stringe il torace e riesce a nascondere a tutti la propria identità. Trova posto a Fulda (un monastero fucina di cultura nel Medioevo), dove diventa medico e fa propria la sofferenza degli ultimi. Diventa l’eroe di cui tutti hanno bisogno e diffonde sapere e amore. Ma anche da Fulda deve scappare, e il destino la condurrà a Roma, dove la sua fama di medico giungerà alle orecchie del papa (uno strepitoso John Goodman), che sceglie il monaco Giovanni come proprio medico e consigliere e lo designa come suo successore. La leggenda vuole che Giovanna, eletta papa a furor di popolo, debba morire, e morirà delle stesse ferite inferte al suo amato Gerold, che, incontrato a Roma e disposto ad aiutarla a dispetto di tutto, è morto davanti ai suoi occhi, vittima della stessa congiura ordita dalla nobiltà romana contro di lei. Un finale sicuramente un po’ teatrale e romantico, ma che rispetta il tratto fondamentale di questa femmina, che sentiva sulla sua carne la bellezza e l’orrore del mondo che lei amava tanto. Muore da femmina, con il sangue mestruale che le macchia l’abito, ma io ho visto la forza e il coraggio di una donna. E solo alla fine scopriamo che il vescovo di Parigi è una donna, figlia di un uomo a cui, da piccolo, Giovanna salvò la vita.
Piccola nota etimologica: donna viene dal latino domina,ae: padrona, signora; femmina viene dalla radice –fe, da cui fetus, e allude alla capacità di portare in grembo una creatura:, per secoli, l’unica capacità riconosciuta alle donne.
1 “D’allora st’antra ssedia sce fu mmessa/pe ttastà ssotto ar zito de le vojie/ si er pontefisce sii Papa o Papessa” (G.G.Belli, La papessa Ggiuvanna, Sonetti, n. 279)
Autrice: Giulietta Stirati