Con un ospite d’eccellenza si è conclusa sabato 11 novembre la terza e penultima giornata dell’Italian Film Festival di Berlino 2017 al cinema nella Kulturbrauerei: Toni Servillo ha presentato il lungometraggio Lasciati andare, per la regia di Francesco Amato, uscito in Italia nella primavera di quest’anno. La sala era strapiena, tant’è che hanno dovuto proiettare la pellicola in contemporanea in un’altra sala del cinema per accontentare tutti i fan italiani e tedeschi accorsi numerosissimi per l’occasione.
Lasciati andare è una commedia in cui Servillo interpreta uno psicanalista dalla vita monotona che, grazie all’incontro con una ragazza senza arte né parte, si trasforma in un uomo più libero e felice. L’attore, intervistato in sala dopo la proiezione, ci spiega che lui voleva da molto tempo interpretare un ruolo comico al cinema: “…io vengo dal teatro, ho la fortuna di recitare a teatro 200 sere l’anno, e a teatro ho interpretato spesso ruoli comici. Tra l’altro venni qui a Berlino anni fa proprio con un Goldoni. Ho letto il copione di questo film e mi è piaciuto perché è una comicità che nasce dalla qualità, dalla struttura della sceneggiatura e non dalla grossolanità delle situazioni. E mi sono divertito molto a girarlo”. È una commedia che guarda a Lubitsch, a B. Wilder, a Woody Allen, è un copione disimpegnato scritto però con intelligenza, aggiunge ancora. “Interpreto uno psicanalista dalla vita noiosa e triste che incontra una giovane madre dall’esistenza strampalata che di mestiere fa la personal trainer e i due, nonostante l’apparente impossibilità di comunicazione, si influenzano in maniera positiva esercitando involontariamente il proprio mestiere. Perché è vero quel detto secondo cui la vita è quello che ti succede mentre ti occupi di altro! Le cose spesso riescono meglio quando non sono volontarie”. Il film è ambientato a Roma, al Ghetto, il bellissimo quartiere ebraico nel centro della città eterna, quartiere abitato da una borghesia molto engagée, sottolinea l’attore, una bella ambientazione in cui la giovane donna straniera è un pesce fuor d’acqua. La pellicola è interpretata dalla giovane attrice spagnola Verónica Echegui, dalla brava Carla Signoris, la moglie ex-moglie di Servillo, e dal sempre bravissimo Luca Marinelli nei panni di un gangster psicolabile. Da sottolineare il cameo di Paolo Graziosi nelle vesti del rabbino.
Nell’intervista-colloquio Servillo parla di molte altre cose. Rifiuta di rispondere a una domanda sul film che sta girando in questo periodo, il film su Silvio Berlusconi diretto da Paolo Sorrentino. “Mancano ancora alcuni giorni di lavorazione, e ne parlerò solo alla fine. Se ne parlassi adesso sarebbe assecondare una certa bulimia comunicativa che non mi piace. Posso solo dire che mi mancano i miei capelli bianchi”. È il quinto film che girano assieme lui e Sorrentino e alla domanda sulle ragioni di questo sodalizio vincente risponde che il motivo è misterioso e che è un bene che resti tale, e che a lui non interessa conoscerlo. “Il regista abusa dell’attore e mentre ne abusa se ne innamora. Abusare nel senso di usare…ne usa la faccia, i movimenti, e lo fa per mentire meglio. Io e Paolo ci stimiamo molto, ma non ci frequentiamo in maniera assidua. Non è la frequentazione che crea questo tipo di rapporto. Il rapporto tra il regista e il suo attore è legato alla psiche del regista…rientra nella geografia delle sue ossessioni, delle sue perversioni. L’attore può illuminare una porzione di un film, ma il film è del regista, appartiene a lui. Per me ovviamente è stata una grande fortuna incontrare Sorrentino”. Servillo sottolinea anche che non c’è bisogno di essere simili, di avere gli stessi gusti per lavorare insieme: “…anzi, io e Paolo abbiamo gusti musicali totalmente diversi”. Però forse un legame profondo li accomuna: “siamo entrambi napoletani. Possediamo entrambi una sana ironia, quell’ironia lì”.
L’Italian Film Festival ha organizzato in coda al Festival vero e proprio un omaggio a Toni Servillo. Sei dei suoi film verranno proiettati dal 15 novembre al 24 dicembre 2017 in tre cinema berlinesi: il Kino, il Lichtblick Kino e il Bundesplatz Kino. Parlando delle pellicole selezionate per questa rassegna-omaggio Servillo ne sottolinea due che potrebbero essere forse più interessanti per il pubblico tedesco: Una Vita tranquilla di Claudio Cupellini, ambientato in Germania, e Viva la libertà di Roberto D’Andò. “Una Vita tranquilla lo abbiamo girato in un paesino vicino Wiesbaden. C’erano pochissime case, tanta foresta e ricordi gli animali, i cervi…e anche i cinghiali. Wildschwein (cinghiale in tedesco) è infatti l’unica parola tedesca che mi ricordo. Ho recitato in tedesco e all’inizio avevo davvero paura. Poi però è andata bene, era un tedesco molto napoletanizzato. Si tratta di un film carico di tensione, e che ha il grande merito di non aver speculato sulla spettacolarità del crimine. Ho avuto il piacere di lavorare con Juliane Köhler, una bravissima attrice tedesca. In Viva la Libertà invece a un certo punto ballo un Valzer con la Merkel! Questo film è stato un’occasione molto bella per interpretare due gemelli al cinema. Per farlo ne ho fatto nascere uno dalla costola dell’altro. Ho chiesto al regista di recitare prima le scene del gemello bipolare euforico e poi di quello depresso. In questo modo è stato come aver recitato due facce della stessa persona e non due personaggi distinti”. Viva la Libertà è del 2013 e Servillo ci confida la sua perplessità sul seguito e sul successo che il film ha avuto tra i politici italiani: “…alcuni discorsi del gemello euforico bipolare – quello che viene costretto a prendere il posto del noto fratello depresso e scomparso, e che inaspettatamente fa risalire i sondaggi da tempo in caduta libera – hanno aperto congressi di partito in Italia! Il film è stato visto ed apprezzato da moltissimi esponenti politici, è stato addirittura consigliato da Eugenio Scalfari a Papa Francesco in una lettera aperta su Repubblica… Tutto questo più che lusingarmi mi preoccupa. Io credo che le cose importanti stiano altrove”. A una domanda sul Divo, altro film diretto da Sorrentino e che fa parte della rassegna-omaggio, e sulla difficoltà di interpretare Giulio Andreotti, Servillo risponde di aver utilizzato la tecnica di straniamento brechtiana: “…e sono felice di parlare di Brecht a poche centinaia di metri dal suo teatro, dal Berliner Ensemble. Non potevo aggrapparmi a nessuna delle mie emozioni. Andavo sul set, mettevo la maschera e poi me la toglievo. Ho dovuto mantenere la distanza dal personaggio. L’ho epicizzato. Era l’unico modo per interpretarlo”. E aggiunge che “…Andreotti si è portato nella tomba tanti misteri italiani irrisolti. Era una persona molto particolare, difficile da afferrare…Anche se sì, aveva anche dei tratti di simpatia umana, tipicamente romanesca…E se ci pensate…ha vinto sette Telegatti! Come può un politico che è stato innumerevoli volte ministro e Presidente del Consiglio vincere tanti premi televisivi? Questo è uno di quei fenomeni incomprensibili del nostro paese…”. Infine una ragazza italiana gli chiede cosa consiglierebbe a chi come lei si accinge ad entrare nel mondo del teatro oggi. E Servillo le consiglia di osservare, di guardarsi attorno e soprattutto di osservare ed imitare il talento altrui. E racconta di aver imparato tanto vivendo in una città come Napoli: “…Io non ho fatto una scuola di recitazione. Però Napoli, la mia città, è un teatro a cielo aperto. A Napoli sono tutti attori. Già da come un napoletano ordina un caffè si capisce se ha dormito bene, se ha litigato con la moglie, e tante altre cose…”. E comunque, chiosa “non è detto che il mestiere dell’attore sia una meraviglia. Può essere anche un meraviglioso inferno, poiché ti costringe a scavare a fondo dentro te stesso”.
Autrice: Barbara Ricci