La storia si ripete sempre due volte: la prima volta come tragedia, la seconda come farsa.
Karl Marx
Quando ho cominciato a vedere questo film, mi aspettavo una commedia un po’ nera, ma pur sempre “leggera”: invece è andato crescendo un senso di inquietudine che si è consolidato, nelle scene finali, in un vero macigno. Questo è un film da vedere, proprio perché disturba, e non poco.
“Lui” è Adolf Hitler, riemerso magicamente nel luogo corrispondente al bunker sotterraneo in cui si era rifugiato nelle battute finali della guerra (chi conosce Berlino o la sua storia sa bene che le sue rovine sono interrate e invisibili, segnalate solo da un’insegna ma non riportate dalle guide turistiche, per evitare di farne una meta di sinistri pellegrinaggi) in una qualunque mattinata berlinese. Perennemente in bilico tra il ruolo di attore –come viene creduto dai più- e quello di politico –come egli definisce se stesso-, questo personaggio, le sue azioni e le reazioni di quanti entrano in contatto con lui ci dicono, su noi stessi, qualcosa di estremamente inquietante.
Scrivo questo articolo all’indomani delle elezioni che, in Germania, hanno visto l’exploit dell’AfD (Alternative für Deutschland) con percentuali anche del 35%. I temi che hanno fatto prendere tanti voti alla formazione politica di estrema destra sono, principalmente, legati al disagio provocato dall’afflusso di rifugiati e richiedenti asilo, che la Germania ha accolto in gran numero –aggiungendosi alle già corpose comunità straniere prodotte dall’immigrazione turca e italiana- e i cui modelli di convivenza civile si scontrano inevitabilmente con il mondo occidentale. Il film –tratto dal libro “Er ist wieder da” (di Timur Vermes, 2012)- tocca questo disagio in un modo imprevedibile, a partire dalla figura del protagonista, Adolf Hitler.
La provocazione del film (che è del 2015) è quanto mai appropriata: agisce a più livelli, e si serve di una scelta drammaturgica efficace, perché lascia lo spettatore nel dubbio: è o non è Adolf Hitler? È un impostore, un attore, una reincarnazione, un fantasma, una Nemesi? L’uomo che compare davanti ai nostri occhi ha, senza ombra di dubbio, tutti i tratti dell’Hitler tramandato da tanta iconografia nazista: abiti da generale in guerra, piglio deciso, taglio di capelli e baffetti, e –nell’originale in tedesco si apprezza molto di più-, la tipica inflessione austriaca della sua voce. La storia, di per sé, è semplice: Hitler ricompare nella Berlino del 2012 e si comporta come se non fossero passati 70 anni dalla sua morte. Entrato in contatto con Fabian Sawatzki, che intravede in questo personaggio un’occasione unica per riconquistare il suo posto presso l’emittente televisiva che lo ha appena licenziato, viene introdotto –con l’aiuto della sua ex segretaria Kromeier- nel XXI secolo. Con lo sfondo di musiche che evocano tragedia (Wagner, La cavalcata delle Walkirie) e furti di vario genere (Rossini, La gazza ladra, Il barbiere di Siviglia), Hitler redivivo non solo scopre che dagli anni 30 poco è cambiato –anzi, a suo dire la democrazia ha peggiorato le cose mettendo al potere degli imbecilli-, ma trova nelle miserrime lotte di potere all’interno della redazione dell’emittente (la nuova presidente, Frau Katja Bellini è un’arrampicatrice senza alcuno scrupolo e per il potere venderebbe l’anima al diavolo; il suo vice Sensenbrick, che si è visto sfilare da lei la poltrona a un passo dalla meta e che per questo fa di tutto per rovinarla, ottenendo il contrario) il terreno fertile per presentarsi al grande pubblico. E, al di là di ogni più nera aspettativa, il grande pubblico lo adora, e adora le sue parole che a uno spettatore distratto sembrano, in un primo momento, anche GIUSTE. Non nascondo di aver provato un certo raccapriccio quando, ascoltando i discorsi di quest’uomo –creduto da tutti un attore eccezionale, benché continui ad affermare di essere davvero Hitler: e sulla volontà di credere alle menzogne ce ne sarebbe da dire-, non ne ho sentito istintivamente la pericolosità; io so che il nazismo è il male: ma sono sicura di saperlo riconoscere, anche quando si maschera da “buonsenso”? Questa è la domanda che il film pone a tutti noi.
Una sola persona non cade nel tranello, una sola riconosce Hitler e lo smaschera per quello che è; la vecchia, malata, demente nonna di Fräulein Kromeier lo vede, capisce chi è e gli si lancia addosso con una lucidità che tutti sembrano invece aver perso. Lei, ebrea, non ha dimenticato. Come il bambino che grida che il re è nudo, la vecchia nonna, improduttiva e “matta”, e quindi esclusa dalla società, può dire quello che è evidente, ma che tutti fanno finta di non vedere, e cioè che essere guidati da un Führer che dia legittimità agli istinti più egoistici e ottusi piace.
In un paradossale gioco di specchi, in cui realtà e incubo si mescolano, il povero Sawatzki –un altro escluso dalla società- finisce in manicomio perché nessuno vuole credere alla verità che è lo stesso Hitler a declamargli in faccia: “Non si può liberare di me. Sono una parte di lei, di tutti voi. Lo riconosca: non sono poi così male.” Per chi conosce “Sei personaggi in cerca d’autore” di Luigi Pirandello, questa scena realizza la sopravvivenza della maschera alla persona.
Nel conclusivo e trionfale giro per Berlino, seduto accanto a una soddisfatta Katja Bellini, Hitler osserva il mondo: rivendicazioni nazionaliste, bandiere dell’UE che bruciano, caccia ai migranti, e urla, urla, urla bestiali. “Le condizioni sono favorevoli”, dice a se stesso, compiaciuto.
Er ist wieder da, wieder hier
Er ist wieder da, so sagt man mir […]
Und ich frage mich, was ist nur gescheh’n
P.S.
E il cane? Beh…guardate il film!
Regia: David Wnendt. Constantin Film, 2015
Cast: Oliver Masucci (Hitler), Fabian Sawatzki (Fabian Busch), Sensenbrick (Ch.Maria Herbst), Kromeier (Franziska Wulf), Katja Bellini (Katja Riemann)
Autrice: Giulietta Stirati