RESILIENZA: fino a qualche anno fa non avevo mai sentito questa parola…”è la capacità di far fronte in maniera positiva agli eventi traumatici“.
Arrivare dall’Italia in Germania comporta alcune difficoltà da affrontare: la lingua davvero tosta, l’organizzazione teutonica che non ti lascia scampo, il meteo.
Per me resilienza ha in prima battuta avuto questi significati, anzi più di tutti metereologica, quando a Novembre le giornate si iniziano inesorabilmente ad accorciare. Arrivi ad uscire ed entrare a casa nel primo pomeriggio con il buio pesto, la colonnina di mercurio inizia a scendere, non si vede il sole ed inzia il bombardamento chimico di vitamina D. In tre anni ho avuto la fortuna di arrivare soltanto a -13 C°, mi sono abituata a non indossare più i collant sotto ai jeans ed ho stretto una solido legame con una nuova amica, la mia sinusite, per la quale il mio NHO (otorino) mi raccomanda sempre un viaggio al caldo in inverno: “Sie sind italienerin…ganz normal” (“Lei è italiana…è normale“).
Sulla lingua, che dire !? Ci caschiamo un po’ tutti come italiani. Fatta una prima alfabetizazzione in Italia, mi segno in una VHS (scuola popolare), dove conquisto con successo un B1 (low intermediate), per poi essere brutalmente segata al B2 (upper intermediate) per 0,50 punti alla sola parte scritta…”stacce“, si direbbe a Roma…non ho la freschezza dei vent’anni e del resto lavoro solo e sempre in italiano…
La scuola, come tutte le scuole, è: un mondo, una magnifica sorpresa, un’occasione di entrare in contatto con altre culture e con persone meravigliose, che sono grata di aver incontrato e con cui mi confronto.
Ci sono tantissime donne provenienti dalle parti più disparate del mondo, vedo accoppiate di banco impensabili in altre epoche storiche: la giapponese gomito a gomito con lo statunitense, l’israeliano con l’araba…
Nel primo corso incontro Maissa, profuga siriana, compostissima nel suo soprabito grigio lungo fino alle caviglie ed il velo non integrale, ha un sorriso gentile. In un mattino qualsiasi mentre ci esercitiamo a proporci le domande comuni, una ragazza domenicana le chiede: “E tu dove hai casa?“…tremo, perché evidentemente la nostra amica del centro america ha perso di vista ciò che accade in Siria…Maissa risponde: “Io non so più se ho una mia casa…sono scappata da Damasco di notte, mentre ci stavano bombardando“…da fondo classe, io esclamo: “Porca paletta” e mi sale un groppo tremendo alla gola…tutti muti in silenzio. Maissa vuole fare la sarta e frequentare la scuola la rende felice, perché il marito le ha dato il permesso di frequentarla, anche se è mista.
Conosco altre donne, quasi tutte scappano da qualcosa (la guerra o la crisi economica del loro Paese d’origine) o affrontano la mancanza di qualcuno (un amore tradito o chi non é più tra noi). Tutte vogliono darsi una nuova chance, raggiungere un nuovo traguardo, perché “non è mai troppo tardi” per darsi una nuova prospettiva. Non importa l’età anagrafica, ma la grinta e la passione che si mette nel vivere, è rimettersi in pista sempre e reagire in tutti i modi possibili ed immaginabili o anche inimmaginabili…”ricostruirsi, restando sensibili alle opportunità positive che la vita offre” per continuare sull’onda della vignetta di Caffeina. Del resto la tedesca Leni Riefenstahl prese il brevetto da sub alla tenera età di 71 anni, diventando poi anche documentarista dei mari.
Basta osservare Madre Natura per trovare anche lì meravigliosi esempi. Mi riferisco in particolare alla rosa di Gerico, simbolo di rinascita, legata alla morte e resurrezione di Cristo, si presenta in forma secca come una sorta di riccio vegetale, ma non appena si bagnano le sue radici, si riapre e torna verde, che diventa sempre più intenso a seconda dell’acqua fornita.
Quest’anno poi mi sono venuti incontro, così per caso, anche magnifici esempi di donne italiane, che si misurano con diversi eventi traumatici di diverso tipo: una malattia, la perdita di un compagno di vita, la mancanza di lavoro o di una casa. Per alcuni aspetti sono più ammirata o comunque diversamente da loro, non per bieco spirito nazionale, ma perché obiettivamente la condizione della donna in Italia è più critica rispetto alla Germania. Un tema per tutti, il lavoro: difficile trovarlo, conservarlo dopo una gravidanza, un miraggio passare al part-time, asili nido pochi e con graduatorie da terno all’otto…siamo lontani da molte tutele di Germania o Svezia, dove viene conservato il posto di lavoro talvolta anche fino al compimento del terzo anno del figlio, si passa con maggior agio al tempo parziale e si può lavorare da casa uno o due giorni a settimana. Per non parlare poi dell’epopea metropolitana, specie a Roma, che una povera crista deve affrontare per traversare l’Urbe, dividendosi tra lavoro, faccende di casa, figli e magari micio dal veterinario, laddove i mezzi pubblici non sono propriamente quelli del Nord-Europa. Ecco la donna italiana è avvezza anche ad una resilienza fisica, da carico di stress traumatizzante, totalmente sconosciuto ad una tedesca. Me ne infischio di certa retorica nostrana -tale è- per cui diventiamo: “ingegnera“, “avvocata” ecc…ma chissene, son parole al vento, se poi non veniamo messe in condizione di lavorare e di badare serenamente ad altre priorità.
Ecco allora che il concetto di resilienza si adatta bene a diverse latitudini geografiche, modelli culturali ed esperienze di vita uniche e personalmente mi sento orgogliosa e grata di aver incontrato sul mio piccolo cammino donne così speciali, che sono appunto esempi quotidiani di come si può andare avanti e sorridere anche quando dentro ti piove a catinelle. In tal senso il mio motto latino preferito è : “Macte nova virtute, puer, sic itur ad astra” (“Benedetto sia, fanciullo, il tuo coraggio, questa è la via per le stelle“, Virgilio, Eneide), che in romanesco si traduce perfettamente con: “Dajeee” (“Macte animo“). E per coraggio intendo non l’assenza di paura o il riuscire sempre, ma almeno provarci e misurarsi con i propri traumi e limiti, “senza perdere di vista la propria umanità“, così conclude la vignetta. E chi vuole intendere, intenda.
Questo qui sopra è un oggetto giapponese rotto, ma che con la tecnica del Kintsugi acquista un valore nuovo diverso: le crepe vengono riempite con l’oro, perché l’oggetto “ferito” ha una storia da raccontare, che va valorizzata.
Autore: Violetta
DISSONANZE vuole essere una piccola rubrica ove parlare di alcune “divergenze” percepite da un occhio italiano a Berlino, contrasti che potrebbero essere più formali che sostanziali, se si vuole essere europei e sintetizzare molteplici aspetti culturali, che convivono molto bene qui. Leggi gli altri articoli