La camera dei deputati (das Abgeordnetenhaus) ha ratificato un nuovo Feiertag, anzi, due: a partire da quest’anno saranno giorni festivi sia la giornata internazionale delle donne (8 marzo) sia -nel 2020- la giornata della liberazione dal fascismo (8 maggio, 75 anni dopo la capitolazione della Germania alla fine della Seconda Guerra mondiale).
Sono due date entrambe importanti, e collegate fra loro. È una donna tedesca, Clara Eissner-Zetkin, colei a cui si deve la lotta per istituire l’8 marzo come giornata internazionale delle donne (1911), ed è sempre a lei e a donne meravigliose come Rosa Luxemburg che si deve l’intuizione che diritti per le donne e pari opportunità sono battaglie a vantaggio dell’intera società e contro ogni tipo di fascismo. Clara Zetkin combatté fino alla fine contro il fascismo (andò in prigione e in esilio per questo); Rosa Luxemburg vi lasciò la vita.
È giusto avere chiaro che non esiste femminismo separato dalla società e dalle sue dinamiche: la lotta delle donne per la loro emancipazione e per la parità dei diritti (in questo caso la parola inglese equality rende meglio l’idea, perché contiene in sé un concetto di parità “giusta”, equa –come testimonia l’origine dal latino aequus) non è una “roba da donne”, ma ha a che fare con donne, uomini, bambine, bambini. Ha a che fare con la struttura stessa della società: una società che per secoli ha formalizzato e attuato -anche nelle sue scelte più avanzate e illuminate- l’inferiorità e la subordinazione della donna all’uomo. I fascismi hanno tratto da questa “disuguaglianza legale” forza e nutrimento: ecco perché donne come Clara Zetkin e Rosa Luxemburg hanno combattuto per i diritti delle donne all’interno di una precisa scelta politica: perché le due cose sono inseparabili; ed ecco perché l’istituzione dei due Feiertage è simbolicamente tanto significativa.
Parlando più specificamente della ratificazione dell’8 marzo come giorno festivo per tutti, è normale che i partiti di destra si siano opposti, e con motivazioni anche abbastanza banali (la situazione delle donne non migliorerà, non va bene colorare politicamente la giornata di festa con la “tradizione socialista” eccetera), ma che rimandano chiaramente a una visione del mondo in cui le donne “stanno al loro posto”.
È importante invece che l’8 marzo sia una festa per tutte e tutti, perché la parità dei diritti e il femminismo servono non solo alle bambine e alle donne, che così si vedono finalmente riconosciuti diritti per cui hanno lottato (e pagato caro) per secoli, ma servono anche –e molto- ai bambini e ai maschi: perché nascere, crescere e vivere in una società che assegna alla figura maschile caratteristiche come decisione, autorità, potere come se fossero genetiche e non culturali, è una società che alleva esseri umani condizionati e compressi. Accogliere e riconoscere il contributo delle donne alla storia significa liberare i ruoli dagli stereotipi e sganciarli dal “genere”. Il femminismo non è espressione dell’odio o del risentimento delle donne contro gli uomini: piuttosto è la via maestra da seguire per liberare donne e uomini da ruoli prestabiliti e da una concezione del potere che spesso si identifica con la violenza (è appena il caso di ricordare quante sono le donne stuprate e colpevolizzate di “essersela andata a cercare”).
“Il primo atto rivoluzionario è chiamare le cose col loro nome”, diceva Rosa Luxemburg. È arrivato il momento di mettere in pratica le sue parole.