IVG ovvero interruzione volontaria di gravidanza.
Argomento delicato e scottante sul quale mio Nonno materno scrisse in Italia la tesi di laurea in Giurisprudenza in materia di diritto penale ed infatti la questione era prevista come reato.
E’ di questi giorni un interessante articolo a tale proposito su “la Repubblica” della giornalista Tonia Mastrobuoni, corrispondente a Berlino per il quotidiano nostrano. Profonda conoscitrice di questo Paese, che mi ospita da ormai quattro per me lunghi anni, la Mastrobuoni non si sottrae a mettere in luce una serie di incongruenze su argomenti caldi non solo dell’economia e politica germanica, ma anche della sua società, come in tal caso.
L’articolo “Due ginecologhe costringono Berlino a riparlare di aborto” tratta del caso di Kristina Hänel e Nora Szasz denunciate da antiabortisti militanti alle Autorità competenti per violazione della legge penale tedesca (paragrafo 219a), in quanto hanno pubblicizzato, nell’ambito della loro attività professionale, lo svolgimento della pratica abortiva tra i vari interventi praticati nei rispettivi studi medici. Attualmente stanno subendo un processo e sono al centro di un acceso dibattito politico, che si sta interrogando sull’abolizione o mutamento della figura di reato di cui si tratta, elaborata storicamente durante il nazionalsocialismo. E’ stata infatti prevista da una legge del 1933, periodo in cui il regime identificava la donna (in verità già in epoca guglielmina) con le fatidiche tre K, “Kinder-Kūche-Kirche”, ossia “Bambini-Chiesa-Cucina”…insomma da “l’Angelo azzurro” (Der blaue Engel) a “l’Angelo del focolare domestico”, madre e moglie prima di tutto!
Per tornare alle nostre dottoresse tedesche, queste rischiano multe di varie migliaia di euro oltre al carcere. Da parte loro i politici crucchi al momento così competono: la SPD (socialdemocratici) si dichiara favorevole all’abolizione del reato, mentre la CDU apre timidamente al problema, pensando alla liceità di qualche informazione in tema per i casi di “donne che si trovino in una condizione personale difficile”, seppure questi ultimi in campagna elettorale erano schierati sul punto con CSU e AfD. In Germania l’aborto é stato depenalizzato circa 40 anni fa, rimane tuttavia illegale, anche se non punibile in alcune circostanze, quali: stupro, malformazioni del feto e pericolo di vita per la donna. In ogni caso l’aborto rimane “reato contro la vita”, inserito nel codice penale vicino all’omicidio, anche se può essere richiesto entro le 12 settimane. Significativa a riguardo è l’affermazione di una politica di Die Linke, favorevole al mutamento legislativo, Cornelia Moeringh, per cui “Non conosco nessuna donna che direbbe: <Che bella pubblicità, avrò un aborto!>”
Fatto sta che l’associazioni femministe e le dirette interessate sono intenzionate ad arrivare fino ai giudici costituzionali tedeschi, i porporati di Karlsruhe, che sarebbe auspicabile facessero un netto distinguo tra pubblicità per così dire in tema di questione morali e quella meramente finalizzata alla corretta informazione medica, come mi sembra il caso delle ginecologhe tedesche.
Ora nei miei sogni notturni mi sono immaginata uno di questi giudici con la sua toga di porpora, quasi cardinalizia, arrivare in un viaggio di fantasia all’Ospedale San Giovanni di Roma il 14 marzo 2007, data in cui negli scritti della Prof.ssa Chiara Lalli, “C’é chi dice no. Dalla leva all’aborto. Come cambia l’obiezione di coscienza” (foto) una certa Margherita si reca nella struttura pubblica italiana per una IVG. Al feto é stata diagnosticata una trisomia 13, che in molti casi porta alla morte del piccolo in poche settimane dalla nascita. La donna ha già perso il suo secondo figlio 5 anni prima, dopo soli 10 mesi di vita per analoghi problemi. La gravidanza è oltre la dodicesima settimana di gestazione e così l’intervento medico è molto più complicato e doloroso, perché si deve procedere per stimolazione in una gimkana di medici di turno quasi tutti obiettori di coscienza e quindi che si astengono dall’applicazione della L. n. 194/1978. Ed infatti l’articolo 9 di questa legge esonera il personale sanitario, compresi gli ausiliari, da tutte le procedute riguardanti l’IVG. Di fatto la donna è abbandonata a se stessa in solitudine e disperazione. Anche il porporato di Karlsruhe le sussurra di rivolgersi all’autorità giudiziaria italiana, ma in sede penale il pubblico ministero chiederà l’archiviazione, cui pure la donna si opporrà, senza successo.
La Lalli è pure giornalista, oltre che filosofa, e considera: “Interrompere una gravidanza per gravi patologie fetali é un intervento fisicamente ed emotivamente gravoso. Troppo spesso é reso ancora più intollerabile dalle circostanze e dalle modalità in cui avviene” (pag. 59) e qui riporta una serie di esperienze di donne che riferiscono di ostetriche che propongono loro il funerale del bimbo o che innanzi al dolore fisico ed emotivo della paziente la apostrofano :” Non sei contenta ? Prima soffri prima ti sbrighi…”. L’autrice si sofferma anche sull’altra prospettiva, quella di un medico non-obiettore, Paola Lopizzo: “Per me non é facile fare interruzioni di gravidanza. Il medico vuole curare, ma non ci riesce sempre….Io ho deciso di non essere obiettore, anche perché ho scelto liberamente di fare questo lavoro e di lavorare in una struttura pubblica. Forse anche perché sono donna…c’é una legge dello Stato e – per quanto sia pesante- cosa succederebbe se nessuno eseguisse interruzioni di gravidanza Se tutti fossero obiettori, la legge decadrebbe.”. Anche la Lalli spiega al nostro giudice crucco:”…chi sceglie di esercitare il mestiere di ginecologo nel servizio pubblico non dovrebbe rivendicare la propria coscienza per sottrarsi ai doveri professionali e schivare le conseguenze” e la risposta non tarda ad arrivare dal porporato di Karlsruhe: “Stimmt, natūrlich…aber hier ist es alles zu kompliziert, deshalb ist es besser zurūck nach Deutschland wiederkommen…”. Anche il Consiglio d’Europa ha condannato l’Italia a riguardo su di un ricorso presentato dalla CGIL in tema di tutela di quei lavoratori i non obiettori in strutture pubbliche, perché vittime di svantaggi sotto il profilo lavorativo.
E’ chiaro che quindi che ci sono anomalie, anzi cose che non vanno in entrambi i riferiti sistemi, ma mi piace mettermi da donna nei panni di altrettante donne ed illuminante è stata l’esperienza di una cara amica, che ha affrontato due IVG, una in Italia e una in Germania: nella prima esperienza ha avuto molta difficoltà a trovare un posto in struttura pubblica e far applicare la ricordata legge italiana, poi durante la degenza ospedaliera chiese un bicchiere d’acqua (vabbé ad una suora che forse aveva avuto una temporanea amnesia in tema di “ama il prossimo tuo come te stesso “) e questa non glielo diede, argomentando che aveva scelto tale sofferenza e la doveva portare avanti, nella seconda esperienza tedesca invece ha seguito l’iter previsto dalla legge e in ospedale non ha avuto alcun problema né a trovare un letto, né a procurarsi dell’acqua.
Vorrei soltanto considerare che le leggi andrebbero applicate anche per ridurre la piaga delle situazioni clandestine con i rischi che ne seguono o per evitare l’accesso in base al reddito ad alcune “soluzioni”. Mi riferisco al caso di quel famoso politico nostrano che accompagnò la seconda compagna ad abortire in una lussuosa clinica svizzera per aborto terapeutico, si badi al settimo mese di gravidanza…proprio la tematica trattata dal regista rumeno C. Mungiu nel suo film “4 mesi, tre settimane, 2 giorni”, che gli valse la Palma d’ora a Cannes nel 2007.
Da ultimo, trovo illuminanti le parole del medico Umberto Veronesi: “Eppure io sono contrario all’aborto. Tutti lo siamo, credo. Non c’é persona che non sia idealmente contraria all’interruzione di gravidanza…perché produce conseguenze traumatiche dal punto di vista psicologico. Ma condannare l’aborto con una legge, renderlo illegale, non impedisce che gli aborti avvengano…L’aborto volontario é un evento grave, ma l’aborto clandestino è una tragedia…la modalità della pillola RU486…è la scelta migliore, perché è quella meno dolorosa per la donna.”.
Autrice: Violetta
DISSONANZE vuole essere una piccola rubrica ove parlare di alcune “divergenze” percepite da un occhio italiano a Berlino, contrasti che potrebbero essere più formali che sostanziali, se si vuole essere europei e sintetizzare molteplici aspetti culturali, che convivono molto bene qui. Leggi gli altri articoli