Ogni essere umano nell’atto stesso di nascere effettua, inconsapevolmente, una scelta, o per meglio dire, ne “subisce” una.
Una scelta che definirà l’essenza stessa della sua vita e che lo renderà parte integrante di un popolo, lo renderà parlante attivo di una determinata lingua, la quale sarà per sempre considerata “lingua madre”.
Si nasce in un contesto fatto di tradizioni uniche, modi di fare altrettanto incomprensibili ad altre popolazioni ma tipici della cultura a cui si appartiene, un po’ come i frutti di uno stesso albero: simili ma differenti dagli altri.
Non solo la cultura ricopre un ruolo fondamentale, bensì anche lo stesso appartenere ad un determinato paese, ad una particolare città. La territorialità occupa un ruolo fondamentale nel definire la personalità, l’identità dell’individuo. Il clima è un altro aspetto fondamentale, la morfologia del territorio, le invasioni e dominazioni subite o imposte, le guerre, l’essere vincitore o vinto, la tecnologia, l’avanzamento della ricerca, il potere economico e cosi via all’infinito o poco più. Tutto, ma proprio tutto influenza la cultura di un determinato popolo, tutto costruisce l’identità dell’individuo.
Il nascere nel ventesimo, ventunesimo secolo ha significato e significa far parte non solo di un determinato paese, una determinata città, bensì dell’intero globo. Si parla sempre più del concetto di “Cosmopolitismo”, termine che deriva dal greco κόσμος (kósmos), cosmo, universo ordinato, mondo e πολίτης (polìtes), cittadino. Chi sostiene il cosmopolitismo, cioè il cosmopolita, considera se stesso “cittadino del mondo”. Tale espressione venne usata per la prima volta da Diogene di Sinope, nel lontano V secolo a.C. che si definiva come ϰοσμοπολίτηϚ (cosmopolita) a chi gli chiedesse quale fosse la sua patria. Tuttavia, questa sorta di radici che ci legano al nostro passato, alla “nostra terra”, in un rapporto viscerale con la stessa, restano e sono ben visibili, trovando piena espressione sul nostro volto, la nostra pelle, nelle nostre caratteristiche, nei nostri modi di fare, nella nostra lingua.
Tutto contribuisce alla formazione della cosiddetta “identità”, un sinolo tra l’individuo e il mondo che lo circonda.
Questo bagaglio forma la cultura di un popolo. Del resto la parola cultura nasce dal verbo latino colo/colere che significa coltivare. Proprio a ribadire il concetto di qualcosa che nasce, cresce, fiorisce e conclude il suo ciclo vitale per poi dare spazio ad una nuova vita.
Chiaramente il mezzo a nostra disposizione per poter comunicare e diffondere la nostra cultura è la lingua, attraverso la quale prendono forma anche la nostra personalità e la nostra identità.
La Lingua è un punto di contatto, il mezzo di scambio e di interazione. Scritta o orale che sia, ha un valore assoluto.
Nello sviluppo e formazione della stessa ogni persona forgia il proprio carattere, la propria personalità. Ci sarà colui o colei che adottano un tipo di linguaggio formale, magari legato alla loro professione, o con un particolare gergo. Coloro che parleranno in maniera informale o magari solo in dialetto.
La lingua è influenzata da dialetti, dall’ ambiente lavorativo, dall’ estrazione sociale, dagli studi personali, da tutto; ed è proprio attraverso la lingua che si forma, e soprattutto, si ESPRIME la propria personalità e identità.
Ora, la domanda che sorge spontanea è: che cosa accade ad una persona che decide di spostarsi stabilmente in un altro paese?
La lingua è diversa, gli usi e i costumi anche.
La personalità, l’identità di una persona viene divisa o se ne creano di nuove? Si hanno più personalità/identità per quante lingue si parlano?
La risposta chiaramente è molto soggettiva. Fatto sta che legata a questa lingua nuova, in sordina, nasce un movimento, nascono impulsi che danno luogo a nuove dinamiche, nuove informazioni nel cervello.
C’è chi magari nella propria lingua risulta simpatico e alla mano, mentre in quella straniera snob e altezzoso o magari il contrario.
Ma conoscere un’altra lingua significa davvero avere un’altra identità?
Sentirsi parte di un’altra società, rende la nostra identità multipla? O la forza di appartenenza alle origini sono così forti da non poter essere distrutti?
Per un italiano o un’italiana, trasferitosi in Germania da anni, l’identità corrisponde alla matrice italiana o alla madre adottiva. E questa nuova lingua, rende il processo di identificazione di sé stesso più difficile o essendo sicuri da dove si viene tale domanda non si pone proprio?
Cari lettori, aspettiamo vostri riscontri, le vostre esperienze, le vostre idee.
Autrice: Alessandra Rago