Il Campione a Berlino. Intervista al regista Leonardo d’Agostini

Il Campione a Berlino. Intervista al regista Leonardo d’Agostini

Incontro Leonardo d’Agostini nello spazio suggestivo della Kulturbrauerei a Berlino, nel quartiere centrale ex Berlino est di Prenzlauer Berg, poco prima della proiezione del suo primo film “Il Campione”, film che gli è valso un Nastro d’argento 2019 come miglior regista esordiente. Prodotto dalla casa di produzione Groenlandia per Rai Cinema, soggetto dello stesso D’Agostini e di Antonella Lattanzi, sceneggiato da Giulia Steigerwalt, il film narra le vicende di Christian (Andrea Carpenzano), giocatore di calcio talentuoso ma ingestibile dal punto di vista disciplinare, a tal punto che il presidente della sua squadra (Massimo Popolizio), esasperato dai continui scandali, decide di assegnarli un professore come tutore e la scelta ricade su Valerio Fioretti (Stefano Accorsi).

È un bel film “Il Campione”, la storia di un incontro tra due personaggi in apparenza molto distanti uno dall’altro.

Ciao Leonardo, quello che mi ha colpito del tuo film è che è sì ambientato nel mondo del calcio ma in realtà parla d’altro, è un film esistenziale, che tocca corde molto profonde. Christian Ferro è un calciatore ma in realtà potrebbe essere una rockstar.
Sì, in Italia le vere star oggi sono i calciatori. Tranne Vasco Rossi forse, quell’ idolatria e quella quantità di soldi e successo immediato li ottengono solo i giocatori di calcio. E a me interessava questo aspetto: un ragazzino che a vent’ anni si trova in una situazione paradossale, viene messo al di sopra di tutto quando non è ancora pronto, e non ha nessuna guida, nessun maestro che gli insegni a sopportare quest’onda d’urto.

Vi siete ispirati a qualcuno per la figura di Christian Ferro?
Avevamo in mente esempi come Cassano e Balotelli, ma solo come punto di partenza. In realtà ci interessava raccontare una persona che deve ancora capire chi è e non ha nessuno che glielo insegni. Ho voluto raccontare la fortuna di avere un bravo maestro sostanzialmente. Anche se poi è uno scambio reciproco, nel senso che entrambi, sia la giovane star Christian che Valerio, riescono a uscire da una fase di stallo conoscendosi. Anche il professore (Stefano Accorsi) si trova in un momento di stallo nella vita e non sa come uscirne. Anche lui, se non ci fosse stato quest’incontro, avrebbe continuato a commiserarsi.

Il soggetto del film è il tuo?
Sì, mio e di Antonella Lattanzi, una scrittrice e sceneggiatrice. Antonella scrive romanzi, ma anche sceneggiature, ha scritto per esempio “Fiore” insieme a Claudio Giovannesi.

Come si è sviluppata l’idea del film?
Lo spunto è stato un articolo di giornale su Balotelli, che come ti dicevo è stato un punto di riferimento importante. Ci interessava far incontrare due personaggi allo spettro opposto del loro potenziale. Da una parte un ragazzo di vent’anni che potrebbe veramente fare tutto in quel momento della sua vita e dall’altra un altro che invece pensa di non poter fare più niente. L’articolo di giornale era su Balotelli. All’epoca giocava nel Milan di Berlusconi. Fece una delle sue bravate e Berlusconi decise di “raddrizzarlo” e gli mise accanto un tutor. In quel caso si trattava di un ex poliziotto, una guardia del corpo. Da questo spunto di cronaca abbiamo cominciato a pensare: ma se questo tutor invece che un body guard fosse qualcuno tipo noi, una persona normale? Mi interessava sia raccontare il mondo del ragazzo che il mondo del professore, che siamo noi.

Nel tuo film c’è anche una critica al mondo che vivono i giovani di oggi?
C’è un elemento universale: tutti noi nel passaggio tra l’adolescenza e la post adolescenza dobbiamo capire cosa vogliamo dalla vita e abbiamo bisogno di qualcuno che ci aiuti a capirlo. In questo caso poi oltre a questo elemento universale si aggiunge la situazione estremizzata, paradossale, che vive il giovane campione in quanto è miliardario e vive dentro un contesto assurdo per la sua età.  Però sì, più che una critica al calcio in sé c’è una riflessione su quella che è la nostra società oggi, in cui sembra che studiare, o comunque approfondire, sia una cosa quasi da snob, un fatto inutile. E invece lo studio resta la base, la struttura, ed è importante; e avere le spalle forti ti serve ad affrontare le cose della vita.

Tra l’altro Christian Ferro non ha nemmeno una famiglia alle spalle, il suo caso è ancora più estremizzato.
Sicuramente. Non serve solo lo studio infatti, servono anche dei rifermenti, delle guide. Tutti noi ne abbiamo avuto bisogno credo, se abbiamo avuto la fortuna di trovare quelle giuste.

 

Tornando al mondo del calcio, avete girato a Trigoria (sede della A.S. Roma) e avrete avuto dei consulenti esperti in loco. Le società di calcio funzionano davvero così? Quanto è realistico il tuo film sotto quest’aspetto?
Essendo un film è ovviamente una sintesi. Però considera che la Roma ci ha dato tutti i suoi spazi, la sua maglia, dopo aver letto la sceneggiatura. E ci hanno anche dato una consulenza, ci hanno seguito passo dopo passo. E poi anche gli spettatori che vivono la realtà del calcio a quei livelli, quando abbiamo fatto le prime proiezioni, ci hanno detto che è un film realistico. Ci sono sintesi, semplificazioni, ma il succo è quello.

Che effetto ti ha fatto vivere così da vicino una realtà come Trigoria?
Quando vai a Trigoria e vedi i giocatori dal vivo, non in tv, dal vivo intendo, ti rendi conto che sono ragazzi, molti di loro sono proprio “piccoli” ancora, ma magari guadagnano già otto milioni l’anno e alcuni sono stati presi a dodici anni da qualche parte lontanissima del mondo; presi, spostati e inseriti in un contesto del genere, a giocare a calcio e basta. E anche se hai vent’ anni e se sei affermato, sei comunque un ragazzino che non ha vissuto la vita normale dei diciottenni e dei ventenni. Anche questo è un aspetto che ho voluto approfondire.

E il fatto che Christian Ferro sia della Roma, che il film sia ambientato a Roma, è casuale?
Io preferivo la Roma perché sono romanista, c’è anche un elemento romantico. Però va detto che è stata la Roma la società a cui abbiamo proposto per primi il film e ci ha detto subito di sì. Spiazzandoci, perché non ce l’aspettavamo che fosse così immediata e repentina la risposta. Questo ci ha reso la vita più facile.

È la prima volta che vieni a Berlino?
No, ci sono già stato da turista. Bellissima, anche questo posto qui è bellissimo (il cinema multisala Cinestar dentro la Kulturbrauerei). Ho amici che vivono qui.

 

Ti ringrazio Leonardo.

Barbara Ricci

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Barbara Ricci

Mi chiamo Barbara, ho 44 anni, sono nata a Roma e frequento la Germania dal ' 98. Sono un' attrice. Ho lavorato sia in Italia che in Germania per diverse produzioni televisive.  Mi sono anche laureata in Lingue ( Francese e Inglese) alla III Università di Roma.  Ho due figli ( Niccolò di 14 e Sophia di 9) che frequentano entrambi scuole italo-tedesche. Mio marito è tedesco (attore anche lui) e insieme abbiamo vissuto prima a Monaco di Baviera, poi a Berlino dal 2005 al 2007, Roma, Colonia, e nel 2011 siano tornati a Berlino. Qui in Germania non ho solamente lavorato come attrice, ho anche saltuariamente esercitato altre professioni, soprattutto di intermediazione tra aziende tedesche e italiane e nell "Assistenza Clienti". Adoro Berlino, oramai fa parte di me, ma in tutti questi anni  ho sempre mantenuto  un legame solido e imprescindibile con la mia città natale, Roma, e con l' Italia.

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