Giovedì 27 settembre alle ore 20 al cinema Kulturbrauerei prima berlinese de La Gatta Cenerentola, film d’animazione vincitore di due David di Donatello. Intervista al regista Alessandro Rak.

Giovedì 27 settembre alle ore 20 al cinema Kulturbrauerei prima berlinese de La Gatta Cenerentola, film d’animazione vincitore di due David di Donatello. Intervista al regista Alessandro Rak.
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Arriva nelle sale tedesche ” La Gatta Cenerentola”, il film di animazione tutto italiano, rivelazione agli ultimi David di Donatello. Presentato per la prima volta a Venezia nel 2017, la pellicola ha vinto ben due David  quest’anno: come miglior Produttore (a Luciano Stella e Maria Carolina Terzi) e per gli Effetti Speciali Visivi (alla Mad Entertainment). Giovedì 27 settembre alle ore 20 al cinema ” Kulturbrauerei” di Berlino vi sarà la prima ufficiale con la presenza dei quattro giovani registi: Alessandro Rak, Ivan Cappiello, Dario Sansone e Marino Guarnieri. Ho avuto il piacere di intervistare al telefono Alessandro Rak, uno degli ideatori del film. Alessandro è regista, fumettista, animatore e con il suo studio di animazione fondato a Napoli nel 2001 si era già fatto conoscere nel 2013 con il primo lungometraggio d’animazione “L’ arte della felicità”, vincitore anch’esso di diversi premi in giro per l’Europa. Alessandro è nato a Napoli e nella città partenopea vive e lavora. D’ altronde “La Gatta Cenerentola” riprende e rielabora l’omonima favola dello scrittore napoletano seicentesco Giambattista Basile, il primo, come ci tiene giustamente a ribadire Alessandro Rak, ad aver usato per la prima volta il nome di Cenerentola. L’origine di Cenerentola è quindi napoletana. Tutte le versioni che noi conosciamo sono state riprese dalla fiaba seicentesca di Basile, in cui l’autore barocco descriveva una Napoli futurista e violenta, elemento ripreso dagli autori del lungometraggio attuale. Non si tratta infatti di un film di animazione per bambini. È una favola per adulti. Una pellicola suggestiva, in cui vengono rappresentate le passioni umane più violente e basse così come quelle più pure e nobili, in un contesto fluido e quasi onirico, un mondo immaginario e magico creato con grande maestria dai quattro registi e dai loro collaboratori.

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Alessandro Rak, ho visto il vostro film e l’ho trovato bellissimo, molto suggestivo. Si presta secondo me a diversi livelli di lettura. Non sono un’esperta di film di animazione, ma questo mi ha molto colpito…

– Ma sai, un film è un film, che sia di animazione o no

Certo, però “La Gatta Cenerentola” mi ha impressionato. I personaggi possiedono una carnalità, un’umanità che non sono abituata a vedere nei film di animazione tradizionali. La prima cosa che vorrei chiederti è: quanto ci si mette a fare un film di animazione? Che tempi di realizzazione ha un progetto complesso come il vostro?

– Difficile dire quanto tempo ci voglia “in tutto”. Esiste una prima fase progettuale, embrionale, in cui lavorano solo un paio di persone. Poi si passa ad una fase più strutturata e pian piano si comincia ad allargare la squadra. Diciamo che dal momento in cui è diventato un progetto esecutivo ci sono voluti due anni, due anni e mezzo. Se invece prendiamo in considerazione anche la primissima fase progettuale, teorica, arriviamo a quattro anni.

Il vostro è un lavoro fatto tutto al computer?

– Non esattamente. Nel senso che alla fine il materiale visivo che viene proiettato è un file in DSP, che è la formula di proiezione. Stabilire però in che modo un’idea si trasferisce sul file di un computer, il processo in cui questo avviene, è difficile e cambia di film in film. In un film di animazione piuttosto che fare un disegno su carta, scannerizzarlo e portarlo dentro al computer, è molto più conveniente disegnarlo direttamente sul computer. Però questo non vuol dire non averlo realizzato con lo stesso spirito artigiano, manuale che si avrebbe sulla carta. Quindi sì, il nostro è un film che si è avvalso totalmente delle tecnologie, però non in un senso freddo di realizzazione.

Voi avete fatto una regia a quattro: tu, Ivan Cappiello, Dario Sansone e Marino Guarnieri. Come vi siete divisi i compiti, il lavoro? Ho visto, nei titoli di coda, che molte cose le avete create insieme. Che tipo di lavoro di squadra è stato?

– Diciamo che noi quattro siamo le persone con più esperienza all’interno dello studio e con uno sguardo più a tutto tondo, d’assieme, sul progetto. Gli altri ragazzi dello studio sono invece più dentro a delle specificità, anche se ovviamente l’invito a tutti è stato sempre quello di allargare il più possibile la visione all’intera questione narrativa. Noi quattro siamo i registi del film perché abbiamo coordinato più degli altri l’insieme degli elementi. Il nostro però è fondamentalmente un lavoro di squadra. Noi quattro avevamo già lavorato insieme ad un film precedente (L’arte della Felicità, 2013), in cui la firma del regista l’avevo messa solo io e loro tre comparivano come aiuti regista. Poi, conoscendoci, anche attraverso questa esperienza, ci siamo calibrati sempre meglio e infatti questo progetto lo abbiamo cofirmato tutti e quattro. La divisione del lavoro ha avuto una sua naturalezza, nel senso che l’idea migliore vince, da chiunque venga. Questa è la base del nostro lavorare tutti assieme, in squadra. Siamo una squadra di una quindicina di persone.

Una domanda sulla colonna sonora, peraltro bellissima, complimenti. La musica, le canzoni, sono una parte fondamentale del film. Come avete lavorato con i due compositori Antonio Fresa e Luigi Scialdone?

– I musicisti sono in realtà molti di più. Antonio Fresa e Luigi Scialdone sono quelli che hanno curato la colonna sonora originale, che sono interventi musicali un po’ più specifici, che servono per impastare narrativamente. Cioè, ti spiego: se c’è un pezzo che ci piace noi lo pensiamo già per la costruzione di una scena, quindi in sceneggiatura erano già presenti molti pezzi musicali, e chiaramente quei pezzi sono già fatti; poi al limite si possono fare dei riadattamenti se serve, ma sono già fatti. Altra cosa sono le zone che rimangono vuote e che hanno bisogno di qualcosa ad hoc, ed è proprio lì che c’è stato l’intervento di Gigi e Antonio, coordinato con noi ovviamente. Però oltre a loro c’è il contributo di tanti altri artisti e musicisti italiani, soprattutto napoletani.

Leggevo che Roberto De Simone aveva tratto nel 1976 dalla Gatta Cenerentola di Giambattista Basile un’opera teatrale musicale. Vi siete rifatti a quest’opera?

– Quest’opera del maestro De Simone ebbe una notorietà enorme al tempo. È stata ed è una pietra miliare rispetto a “Gatta Cenerentola” di Basile, un qualcosa di difficile anche per noi da deglutire prima di fare questo film. Però non ci siamo rifatti all’opera di De Simone. Non ne abbiamo trascurato l’esistenza ovviamente, ma abbiamo cercato un percorso nuovo, nostro, un nostro filo diretto con l’opera originale.

Appunto. Parliamo della “Gatta Cenerentola” di Giambattista Basile. Come vi siete rapportati a questa favola barocca?

– C’è stato un elemento che ci ha molto colpiti: l’aver scoperto che l’opera originale, la prima versione in assoluto per iscritto della fiaba di Cenerentola, è di origine campana. Abbiamo sentito il bisogno di farla conoscere al pubblico, mantenendo il titolo originale “Gatta Cenerentola”. E abbiamo cecato di ammodernarla. Ci divertiva l’idea di riprendere l’aspetto un po’ più dark e cruento, oscuro che aveva questa prima favola della Cenerentola. Per quello che riguarda l’ambientazione, abbiamo voluto darle una sorta di contemporaneità, anche se si tratta di una “sorta di contemporaneità” appunto, in quanto nel film l’ambientazione non è proprio precisata, ondeggia tra un contemporaneo parallelo e un futuro.

Infatti volevo chiederti anche dell’ambientazione. Questa nave in cui va in scena gran parte della storia. Avete creato un mondo indefinito, liquido. A me è sembrato anche un luogo di coscienza dei vari personaggi, con questi ologrammi che appaiono e scompaiono, questo alternarsi di passato, presente e futuro.

-Trattandosi di una favola ci interessava l’indefinizione dei contorni, sia storico culturali che di ambientazione. Volevamo costruire un mondo che avesse un sapore famigliare, anche per avvicinare un pubblico adulto al cinema di animazione, ma anche che avesse dentro di sé una sensazione di futuro, e anche di altri futuri immaginati nel passato; infatti c’è anche un po’ di anni ‘40, ‘50, ‘60  nel film, c’è un po’ di retrò dentro questo futuro che abbiamo creato. E l’indefinizione dei contorni storici era necessaria per conservare questo aspetto fabulistico. E sempre per recuperare quest’aspetto del magico che è fondamentale nella favola abbiamo pensato ad una tecnologia un po’ fuori dal controllo dell’individuo. Quest’idea dell’ologramma che appare e scompare rappresenta proprio questo aspetto magico, la fata turchina della nostra storia, il modo in cui si palesa la magia tecnologica. Un fantasma digitale per certi versi.

All’interno di questa magia si svolge la storia, intrisa di tante passioni umane, anche violente:  gelosia, avidità, così come sentimenti purissimi e bellissimi: penso alla nobiltà d’animo di Vittorio Basile o di Gemito, alla purezza di Cenerentola stessa. E sono tutti personaggi caratterizzati da una forte napoletanità. I personaggi sono napoletani, parlano in napoletano.

  Prima di tutto c’è la nostra stretta relazione con la città in cui viviamo e in cui siamo nati. Ci sentiamo molto vicini alla nostra città e alla vita che ci circonda. Ci interessa molto la partecipazione quartierale, cittadina a quello che facciamo. Oltre a questo fatto esistenziale, imprescindibile, c’è la napoletanità intrinseca dell’opera. Davvero la prima volta che Cenerentola è comparsa al mondo è stata scritta in lingua napoletana e in pochi lo sanno.  Questo aspetto per noi era importante. Il filo diretto con l’origine. Per quanto riguarda la caratterizzazione dei personaggi, l’idea è stata quella di descrivere tutti gli aspetti che riguardano la nostra Napoli, che vanno dal signore napoletano classico, al femminiello, al peggior malavitoso che possa esistere.

C’è il meglio e il peggio dentro. C’è tanto, c’è tutto.

– Eh sì, a Napoli miseria e nobiltà hanno sempre convissuto, sia nell’animo che nella visione delle classi sociali che poi in realtà non sono così divise. Per me questa è stata sempre una caratteristica qualitativa della città, il fatto che vi sia un’ottima convivenza tra classe sociali, di dialogo anche.

A Berlino sei mai stato?

– Ci sono stato una volta solamente per l’incontro con il distributore tedesco, ma ci tornerò a breve, tra pochi giorni, il 27 settembre, per presentare i film. Avrò modo di conoscerla meglio spero.

Autrice: Barbara Ricci

 

About The Author

Barbara Ricci

Mi chiamo Barbara, ho 44 anni, sono nata a Roma e frequento la Germania dal ' 98. Sono un' attrice. Ho lavorato sia in Italia che in Germania per diverse produzioni televisive.  Mi sono anche laureata in Lingue ( Francese e Inglese) alla III Università di Roma.  Ho due figli ( Niccolò di 14 e Sophia di 9) che frequentano entrambi scuole italo-tedesche. Mio marito è tedesco (attore anche lui) e insieme abbiamo vissuto prima a Monaco di Baviera, poi a Berlino dal 2005 al 2007, Roma, Colonia, e nel 2011 siano tornati a Berlino. Qui in Germania non ho solamente lavorato come attrice, ho anche saltuariamente esercitato altre professioni, soprattutto di intermediazione tra aziende tedesche e italiane e nell "Assistenza Clienti". Adoro Berlino, oramai fa parte di me, ma in tutti questi anni  ho sempre mantenuto  un legame solido e imprescindibile con la mia città natale, Roma, e con l' Italia.

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