Il nome di Patrick Süskind è legato, per la maggior parte dei lettori, al libro che ne ha decretato il successo mondiale, “Il profumo”. Lo lessi tanti anni fa e mi colpì molto. Dopodiché il nome di quest’autore rimase legato a questo romanzo: in qualche modo lo avevo catalogato come autore di quest’unico libro, e non ci pensai più.
Qualche tempo fa mi è capitato per le mani questo librino –ché davvero è un librino, poco più di 100 pagine nel formato tascabile con le illustrazioni del grande Sempé– e, non trovo altre parole, mi ha toccato il cuore.
A raccontarci la storia è un uomo, che da ragazzino –all’incirca tra i sette e i quattordici anni- incrocia la sua via (è il caso di dirlo!) con quella di Herr Sommer. Per quelle magie che solo la letteratura rende vere, la voce dell’adulto cede il posto alla voce infantile, che vede, interpreta e vive quel che gli accade e ci trascina per mano nel suo mondo, e ce lo fa vedere, ce lo fa vivere, facendoci tornare bambini come lui.
È la storia di un uomo che tutti chiamano con un nome glorioso –Sommer, cioè Estate-; il suo vero nome, non si sa. Che cosa faccia, da dove venga, chi sia, non si sa. Nessuno lo sa. Quest’uomo compare nel paesino teatro della sua storia in un momento imprecisato del secondo dopoguerra, venuto da chissà dove e chissà perché. Non parla con nessuno, e fa un’unica cosa: cammina. Tutto il giorno, ogni giorno. A falcate lunghe e ritmate, Herr Sommer cammina, cammina, cammina.
Ma che storia è, la storia di un uomo che cammina e basta?
Herr Sommer è, al momento in cui la voce narrante ne diventa responsabile, un elemento del paesaggio: tutti, nei paesini intorno al lago, sono abituati a lui, e non ci fanno più caso. Herr Sommer cammina e non si ferma mai, e non parla con nessuno; se qualcuno prova a fermarlo, borbotta mangiandosi le parole che ha fretta e “scusatemimahotantecosedafarevadodifrettadifretta”: altro di lui non si sa. Un tipo strano (in tedesco, Sonderling) che però non dà fastidio e che, a un certo punto, diventa invisibile, tanto ci si è fatta l’abitudine.
il ragazzino, però, lo guarda. Gli rimane impressa una frase gridata –l’unica manifestazione verbale in tutto il racconto- da Herr Sommer a lui e al padre che volevano dargli un passaggio durante un fortissimo temporale:
“Ja so lasst mich doch endlich in Frieden!”
“Ma volete lasciarmi in pace, infine!”; la traduzione non rende l’espressione di disperazione contenuta nell’originale
Vede e sente nel suo camminare ostinato una fuga, una fretta disperata, un’angoscia che non solo lo incuriosisce, ma che –oscuramente prima e più chiaramente poi- riconoscerà come propria. Perché Herr Sommer vuole essere lasciato in pace? Cosa lo tormenta? Le vicende di cui è protagonista –un amore non corrisposto, il sogno di volare, la bici e le comicamente disastrose lezioni di pianoforte- hanno, tutte, in comune non solo il loro essere per lui una specie di “marchio” che lo relega tra gli strani e i solitari, ma anche la circostanza –puntuale come il destino- di avere in Herr Sommer un inconsapevole ma costante testimone. A ogni passo, a ogni svolta, a ogni caduta del bambino, Herr Sommer è lì nei paraggi che si affanna a divorare insaziato chilometri su chilometri senza meta e senza scopo.
C’è un momento cruciale in cui queste due vite solitarie e incomprese si sfiorano, ma senza toccarsi, e per il bambino questo sarà la svolta e il passo verso la crescita. Appollaiato su di un albero e pronto a lanciarsi di sotto per porre fine alla serie infinita dei suoi fallimenti, egli assiste non veduto all’unico momento in cui Herr Sommer si ferma, finalmente: per poco, quest’uomo si stende sotto l’albero e respira così affannosamente da sembrare che stia annegando: il gemito che gli esce al posto del respiro è pieno di disperazione, è un grido dell’anima fatto di Sehnsucht per un alleggerimento che non c’è.
Divenuto ormai ragazzo, il narratore sarà testimone dell’ultima corsa di Herr Sommer. Lo vedrà da lontano, una sera di settembre, entrare a passi lenti e inesorabili nel lago, finché di lui non resterà che il cappello a galleggiare sull’acqua.
La mano dello scrittore che si fa voce infantile rende il racconto leggero. Tratta temi difficili come la solitudine, lo smarrimento, la paura: eppure li incarna in una storia che riguarda ognuno di noi adulto e ognuno di noi bambino, perché certi sentimenti, certe trepidazioni, certe domande appartengono all’umanità bambina, ne sono anzi la sostanza. Ecco perché questo libro, in Germania, lo leggono i ragazzini del Gymnasium. Ecco perché questo libro lo ha letto il mio adorato nipote Leone.
Herr Sommer è la fuga che abita in noi, la paura alla quale cerchiamo di sfuggire. Darle forma in un personaggio che scappa senza mai trovare pace; farle incontrare l’animo di un bambino che vive con dolore la propria esistenza perché la sente diversa e “sbagliata”; permettere al bambino di comprenderla, accettarla e –in qualche modo- amarla e, infine, di lasciarla scomparire: questo è l’incommensurabile merito di questo libro.
Autrice: Giulietta Stirati