Che di italiani in giro per il mondo ce ne siano a bizzeffe, è cosa ormai indiscussa, le comunità di italiani all’estero sono sempre più numerose, e sempre di più sono coloro che emigrano, per necessità, piacere, conoscere ed esplorare. Poco importa infine quale sia il motivo che porta un italiano a vivere all’estero, ma per quanto riguarda il giudizio universale siamo tutti uguali, e siamo tutti uguali soprattutto quando ci si trova a dover affrontare i diversi cambiamenti culturali e l’avere a che fare con lingue che non si conoscono.
L’opinione che gli stranieri hanno degli italiani è ormai nota, c’è chi ci odia e chi ci ama, ma è anche vero che la nostra eccellenza in vari settori è riconosciuta ed apprezzata in tutto il mondo. Se a Berlino vogliamo vantarci di qualcosa, oltre alle solite cose di cui siamo già orgogliosi, come il cibo, i luoghi meravigliosi da visitare, la moda, la qualità e molto altro, possiamo citare Roberto Serniotti, allenatore italiano del Berlin Recyclin Volleys, squadra di pallavolo del club sportivo SC-Charlottenburg, una delle più forti in Germania. Per chi fosse già afferrato sull’argomento, sa benissimo che Roberto è un allenatore ormai affermato sia a livello nazionale che internazionale, egli ha infatti lavorato in Italia, in Francia, in Grecia, in Russia e adesso qui a Berlino.
Roberto Serniotti nasce a Torino il 1 maggio del 1962 e si trasferisce nella provincia di Cuneo dove inizia la sua carriera come allenatore del Cuneo nel 1992. Il suo lavoro gli riserva diversi spostamenti, sia in Italia che all’estero, Roberto ha inoltre portato diverse squadre alla vittoria di vari trofei, tra i più importanti è doveroso ricordare la Champions League vinta da una squadra francese e l’Europeo vinto dalla Nazionale Italiana nel 2005, mentre lui ne era l’assistente di squadra.
Ho avuto l’onore di intervistarlo, Roberto è senza dubbio una persona alla mano ed umile, non ha paura di mettersi in gioco e di affrontare nuove avventure, sia a livello personale che professionale. Sentiamo cosa ci ha raccontato.
Da quanto tempo sei a Berlino e come mai questa città?
Sono qui da agosto 2015. In realtà il mio lavoro è imprevedibile, nel momento in cui non si ha un contratto ci si guarda intorno e si valuta che proposte ci sono. Mi era stato offerto un posto ad Atene ed uno a Berlino, io non ho esitato a scegliere Berlino, ad Atene ho già allenato, ma a parte questo, Berlino è una città che mi interessa molto, ho dunque preso la palla al balzo, per rimanere in tema di palle, e mi sono trasferito qui.
Da quanto tempo fai questo lavoro e come hai iniziato?
Per la società nella quale giocavo da ragazzo -avevo all’incirca 16 anni- era prassi che i ragazzi della prima squadra allenassero i più piccoli, fu così che iniziai. Allenando mi resi conto che mi piaceva più di quanto mi piacesse giocare, così successivamente, dai miei 20 anni, quello che prima era un hobby è diventato il mio lavoro.
Quali sono i lati positivi e quelli meno positivi del tuo lavoro?
Sicuramente quello che rende positivo il mio lavoro è la necessità di spostarmi e viaggiare, il che mi entusiasma molto; inoltre, avere a che fare con i ragazzi fa sì che tu rimanga sempre giovane, anzi, inizialmente ero un ragazzo anch’io, mi è capitato di allenare giocatori più grandi di me, poi tutto d’un tratto il tempo passa e senza renderti conto tu cresci ma i giocatori rimangono sempre freschi e fiorenti, mentre tu sei l’allenatore adulto, devi perciò a maggior ragione tentar di mantenere un rapporto forte ed intimo con i ragazzi e non essere distaccato facendo solo l’allenatore che da comandi.
Un po’ meno positivo è senza dubbio il fatto che questo lavoro è abbastanza imprevedibile in quanto i contratti vanno da 1 a 2 anni, quindi oltre che a non avere certezze future, il fatto di doversi spostare così spesso, rende difficoltoso instaurare dei rapporti umani solidi e duraturi nel tempo.
Che differenze hai riscontrato nell’allenare diverse squadre in diversi paesi?
A parte in Russia, dove la squadra era composta quasi esclusivamente da giocatori russi, generalmente, le squadre sono composte da giocatori di diverse nazionalità, sono squadre miste e quindi ci si rapporta sempre con diverse culture. Per quanto riguarda la pallavolo, l’Italia è considerata all’avanguardia, ci sono molti allenatori italiani che lavorano all’estero, anche perché le squadre italiane non sono tante, al contrario degli allenatori; alla fine si è anche un po’ costretti a doversi spostare. Nell’allenare diverse squadre ho riscontrato sicuramente che la mentalità russa è un po’ chiusa e loro sono abituati ad eseguire ordini, mentre in Francia e qui a Berlino, prevale più uno spirito libero e di iniziativa da parte dei giocatori, il che porta di certo ad una collaborazione maggiore. In Italia i giocatori si focalizzano maggiormente sul gioco fino a quando la carriera lo permette, al contrario i francesi ed i tedeschi sono leggermente più responsabili nel senso che, si prospettano di più nel futuro e si preparano all’avvenire, studiando, perché sanno che la carriera da giocatore non è eterna e quindi ci si allena meglio, sotto questo punto di vista, all’approccio successivo, ad un altro tipo di lavoro; è per questo che li ritengo più responsabili. Nella squadra che alleno adesso – Berlin Recycling Volleys- i giocatori sono tutti alti e molto adatti a giocare, il che è molto stimolante, in più loro sono ormai tutti professionisti, ma, in generale, non è sempre così, infatti spesso i ragazzi oltre che allenarsi, studiano, così da prepararsi ad un futuro diverso da quello da giocatore, ecco perché a volte, tra i 20 ed i 25 anni, ci si perde via, non scommettendo sul professionismo per quanto riguarda appunto la pallavolo.
In quale luogo ti è piaciuto di più allenare?
Roma è fantastica, è una delle città che più mi è piaciuta, peccato solo per il troppo traffico. Anche Atene è molto bella, ci sono stato nel 2000 quando la crisi non l’aveva ancora colpita e per questo me la sono goduta; c’è anche la Francia nella lista di posti che porto nel mio cuore, ho allenato a Tours, una città fantastica nella zona dei castelli, mi sono trovato molto bene, ma a parte ciò, cerco di sfruttare al meglio questo lato nomade del mio lavoro, vivendo nel miglior modo possibile i posti affascinanti che incontro lungo il mio percorso, quando posso. A Berlino sono nuovo, ma devo ammettere che mi piace sempre più e non nego che se continua così potrebbe diventare uno dei miei posti preferiti.
Cosa ti piace di Berlino e cosa ti piace meno?
Trovo fantastico che tutti i quartieri siano differenti tra di loro, ognuno con le sue peculiarità. Mi piacciono le città in cui nulla è dato per scontato, dove c’è tanto da fare, Berlino è così, più giri e più c’è da scoprire. È una capitale che irradia energia, è tutto in movimento, ci sono cantieri aperti ovunque, è in continua crescita. Ritengo che questa sia una città che possa dare davvero delle occasioni a chiunque le sappia sfruttare. Non mi sento di poter dire che qualcosa non mi piace, sono sicuramente rimasto sorpreso nel vedere gli automobilisti che suonano il clacson se non sei sbrigativo, un po’ come in Italia.
La tua famiglia è qui con te? Ti segue sempre nei tuoi spostamenti?
Sì, ho qui mia moglie e mio figlio. Mia moglie è un’insegnante di educazione fisica e frequenta una scuola di tedesco, appunto per imparare la lingua. Nostro figlio l’abbiamo adottato 7 anni fa, quando lui ne aveva 10, è originario della Polonia. Devo dire che ha appreso la lingua italiana in modo rapidissimo e sublime, cosa che continua a fare con il tedesco. Sì, loro mi seguono sempre.
Che differenza hai riscontrato maggiormente nell’allenare squadre italiane da quella tedesca?
I giocatori italiani sono sicuramente più viziati e abituati ad avere il lavoro già pronto ed organizzato. Come ho detto prima, qui i giocatori sono più autonomi e responsabili. Inoltre, questa società berlinese per cui lavoro riesce molto bene ad organizzare gli eventi, sono capacissimi di attirare un vasto pubblico, focalizzando l’avvenimento non solo sulla partita in quanto tale, ma offrendo anche un intrattenimento che non è per niente da minimizzare o sminuire, con musica, danza e majorette. L’evento si vive a pieno ed intensamente.
Ti manca l’Italia?
Devo ammettere che un po’ mi manca, giro in tanti luoghi ma fondamentalmente rimango sempre italiano, ci ritornerò sicuramente in futuro, anche perché, con il mio lavoro non si sa mai cosa accade. C’è di buono però che, differentemente da quello che era il passato, adesso internet mi permette di avere contatti con l’Italia, ed in qualsiasi momento.
Com’è stato l’impatto con la mentalità tedesca?
In realtà con i tedeschi ci sto poco, quindi non saprei dire con precisione, anche perché sono abbastanza fresco a Berlino ed i giocatori che alleno non sono esclusivamente tedeschi, in più nella squadra abbiamo delle norme precise che facilitano la convivenza. Devo dire che ho riscontrato qui esserci regole, e ciò mi piace, servirebbe solo a volte un po’ di elasticità in più.
Hai progetti per il futuro? Pensi di rimanere a Berlino?
Come dicevo prima, è la società per cui lavoro che decide se io debba rimanere o meno. Il mio lavoro è troppo legato al risultato, più la squadra ne raggiunge di ottimi, più ho la possibilità che il contratto mi venga rinnovato. Per adesso mi piacerebbe rimanere ancora per qualche anno, io mi impegnerò sicuramente per la squadra perché ottenga buoni traguardi, e per me, per convincere la società a confermarmi nuovamente.
Com’è il mestiere di allenatore?
Abbastanza complesso perché devi formare un gruppo, i ragazzi vengono tutti da posti diversi ed appartengono a differenti culture. I risultati non sempre dipendono dai giocatori o dalle partite, come ad esempio quando si va ai Play Off, in cui squadre vincenti e squadre perdenti tornano a scontrarsi a fine campionato, lì tutto può cambiare ed i risultati possono capovolgersi, per cui: nulla è dato per scontato. Il mio lavoro, inoltre, non è solo quello di allenare in palestra i giocatori, bensì anche quello di studiare la squadra avversaria, ciò comporta ore di visualizzazione di video di partite precedenti e dei singoli giocatori.
Qual è stata la tua gratificazione più grande?
Senza ombra di dubbio aver vinto la Coppa dei Campioni (Champions League) a Tours in Francia nel 2005.
Autore: Enza Granato
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