“La rosa tatuata” è un dramma americano anni ’50 di Tennessee Williams, scritto appositamente per la nostra “Nannarella”, l’attrice italiana Anna Magnani, nel ruolo di Serafina delle Rose, devotissima moglie di un camionista, non propriamente uno stinco di santo…ma su questo tornerò in seguito.
Una rosa tatuata, in verità, è uno dei tatuaggi più ricorrenti non solo nel protagonista maschile dell’opera appena ricordata, ma anche sul corpo di tante donne, tra cui la mia amata cugina.
Mi è preso un colpo secco quando l’ho vista in costume da bagno: di giorno in ufficio con un tailleur severo e composto, nel we in relax tatuata da tutte le parti, tanto che ho perso il conto delle sue bellezze: nostra Nonna sarebbe stramazzata al suolo per direttissima…
Il bello della vicenda è che ogni tatuaggio è legato a un momento importante nella vita di mia cugina, di cui riesce bene a circoscrivere le sue gioie e i suoi dolori, cioè le sue caleidoscopiche emozioni.
L’avvicinamento a mia cugina, dopo dieci anni di letargo, è coinciso con una sorta di avvicinamento a me stessa, complice stranissimi incontri sul mio cammino. In primis un monaco tatuatore, che -parlandomi del suo lavoro- mi ha mostrato una chiave, che poi ho ritrovato nello stesso disegno su di un murales (prima o poi ci scrivo su questa arte meravigliosa) a Milano, proprio mentre andavo a un concerto con la mia cuginetta….e non potete capire quanto ho sorriso !
Insomma per farvela breve ciò da cui ero stata tanto terrorizzata e pure quasi schifata – a dirvela tutta- ora invece mi piaceva. Ritorno a Berlino, chiacchiero con la mia amica cilena e mi mostra i lavori della bravissima Ilaria Macis
La contatto, le parlo della mia idea a riguardo et voilà capisce al volo cosa ho in testa: mi recita il motto latino, mi parla del letterato italiano del Quattrocento, che ha assunto questo motto come propria marca tipografica… e via cantando. In seguito una persona a me molto cara mi farà riflettere e riconoscere l’ossimoro che alberga in me…un fulmine a ciel sereno.
Eh sì, perché la nostra Ilaria, sarda di nascita, studi classici con profitto sia in latino sia in greco, si è formata all’Accademia delle Belle Arti di Firenze, divenendo poi tatuatrice professionista (insegna anche) e soprattutto è madre di tre figli (la marcia in più), con i quali vive in provincia di Pisa. Prendo quindi il treno e vado a conoscerla: è come me la sono immaginata, ammirando i suoi lavori, cioè solare, di sostanza, raffinata e molto articolata interiormente. Ha un tratto delicato, come la sua anima, e molto femminile; soprattutto non è mai scontata nei suoi disegni: dal fumetto di Wonder Woman alla testa di medusa caravaggesca; ha inoltre qualcosa di sacro dentro, che si declina in altre sue opere, cioè la passione per la vita e per il suo lavoro. Quel giorno volevo una persona speciale accanto a me e l’ho avuta: me stessa, oltre la meravigliosa Ilaria.
Di recente un suo lavoro mi ha molto colpita: la copertura di un inestetismo cutaneo di una donna, ossia un retrocoscia ustionato di brutto…l’alternativa era tra la chirurgia plastica (con ben altri costi economici e di tempo) e il tatuaggio. Senza nulla togliere alla prima soluzione medico-chirurgica, vi confesso che mi piacciono da morire questi gigli disegnati sulla coscia , l’arte come antidoto al dolore fisico e all’eco interiore che può lasciare il primo tipo di dolore, un tatuaggio come un atto di infinito amore verso se stessi per superare un trauma e rimettersi la gonna. Anche come rendere un punto debole, un punto di forza di questa Persona! Ecco che la Vita, in questa esperienza, diventa una forma di Arte benefica e salvifica: quindi i tatuatori sono persone che si possono anche prendere cura degli altri (magari al contempo curandosi loro stessi, perché a fare del bene ci si guadagna sempre). Che meraviglia!
Dice la Maestra Veronica, insegnante di scienze a Berlino del mio maggiore, che ci si regala in un tatuaggio in un momento molto importante della propria vita e di trasformazione e credo proprio abbia a ragione: lei, in linea con i suoi interessi personali e di lavoro, ha sul braccio in bella mostra l’esoscheletro di una diatomea…altra meraviglia, come la persona che lo indossa!
Da Pisa a Milano, sempre in visita da mia cugina e ci riproponiamo di andare alla tattoo convention, manifestazione interessante che ha messo inaspettatamente sul mio cammino un giovane neozelandese, che vive guarda caso in Germania, specializzato in handpoke, cioè piccoli tatuaggi sulle mani…in Italia sia Ilaria, sia il monaco si erano categoricamente rifiutati di eseguirlo, a Berlino pure una donna si era rifiutata adducendo come motivazione che non erano nelle sue corde le lettere dell’alfabeto ebraico (evitiamoci ogni commento va…) e così trovo questo Maestro di Gentilezza, “Dot by Dot“: stavo per svenire dal dolore con questa tecnica a mano con aghi, tipo gli antichi tatuaggi maori, anche perché la limitatissima zona era un tessuto mollissimo e quindi ampiamente uncinato da questo uomo meraviglioso che mi vedete accanto in questa foto e questa volta mia cugina era lì e non mi ha mollata un attimo: “respira profondamente…ti porto dell’acqua“, era lei la mia acqua in quel momento. Il nostro amico è stato molto professionale e preciso: si è fatto spiegare attentamente cosa volevo esprimere, si è documentato con me su internet e mi ha proposto varie dimensioni; nell’esecuzione si è fermato varie volte, per farmi riprendere fiato e per fortuna la vicenda si è conclusa nei trenta minuti, altrimenti, forse, mi avreste sentito smadonnare sino a Berlino.
E qui giungo, per altri versi, proprio ai primi di agosto alla tattoo convention…che dire bellissima e particolare, come a Milano, ma diversa. A Milano ho trovato più varietà di stili artistici e ho avuto l’impressione che in Italia abbiamo veramente tante eccellenze anche in questo campo artistico (Marco Galdo, Amanda Toy) a cui però sembrano soltanto i giovani-giovanissimi; in Germania invece sono rimasta colpita dalla diversa clientela, cioè ho visto un sacco di famigliole con pupetti nel passeggino al seguito o con il ciuccio in bocca e orsacchiotto nella manina e anche qualche coppietta sulla sessantina.
Altra cosa che mi ha lasciato di stucco a nord è stato uno stand dedicato alle donne malate di tumore al seno e che hanno subito una mastectomia parziale con asportazione del capezzolo: viene proposto loro un tatuaggio, per ridisegnare areola e capezzolo e l’ho trovato bellissimo e civilissimo e, come ho detto prima per la Macis, molto più economico della chirurgia plastica.
Sembrerebbe che i tedeschi, soltanto mettendo a confronto le due conventions cui ho partecipato, abbiano elevato a sistema dei nobilissimi utilizzi del tatuaggio, come -ribadisco- ha fatto anche Ilaria Macis.
A questo punto mi preme segnalare anche un’iniziativa, che mi ha lasciato perplessa e su cui non sono ancora riuscita a farmi un’idea: un tatuaggio per ricordare l’orrore che veniva imposto nel campo di concentramento di Auschwitz, solo qui rispetto agli lager durante il nazionalocialismo, in aperto spregio della legge mosaica, che vieta agli ebrei osservanti di tatuarsi… i nazisti volevano quindi loro infliggere un’ulteriore umiliazione, oltre quella dell’arido numero in luogo del nome, per spersonalizzarli.
Cosa posso dire, se non citare quel monaco tatuatore: “…il tattoo infatti, come ti dissi la prima volta, è un mondo a parte, dove si esprime la propria personalità o pezzi di vita tramutati in arte, dal puntino alla schiena realistica…”. E’ vero, ha ragione. Di recente ho fatto altri insoliti incontri in treno e un uomo aveva tatuato sul braccio, dentro a un cuore: “Kiki forever“, dedicato a sua figlia Chiara, morta quest’anno…non potete capire quanto mi sono commossa in treno: lui tutto borchiato, io in cioce e vestaglietta ci siamo presi a lungo per mano e ci siamo commossi, immensamente commossi.
Pezzi di vita tramutati in arte, perché la vita scorre e muta, come le persone, come la nostra Serafina delle Rose, che “…a metà strada tra lo sbigottimento e il vivo desiderio di difendere da un’accusa infamante l’onore e la memoria del defunto [n.d.r. marito, fedifrago e delinquente, insomma un figlio di…], accetta la realtà e, durante uno sfogo, spezza l’urna contenente le ceneri del marito, segno che si è come disancorata da un passato insostenibile. Nel frattempo, dà il proprio consenso alle nozze della figlia con un ragazzo di cui prova serietà e fede cattolica e, finalmente libera, accetta le attenzioni di Alvaro”, il nuovo amore che ha saputo cogliere la sua sincera gentilezza di animo e il suo amore infinito. Quindi amatevi ed esprimetevi, anche in questo modo si può…incatevolmente e meravigliosamente possibile!
Autrice: Violetta
DISSONANZE vuole essere una piccola rubrica ove parlare di alcune “divergenze” percepite da un occhio italiano a Berlino, contrasti che potrebbero essere più formali che sostanziali, se si vuole essere europei e sintetizzare molteplici aspetti culturali, che convivono molto bene qui. Leggi gli altri articoli