Intervista a Elisabetta Arisci, proprietaria dell’ Ataya Caffè,
Café bistro Veg a Prenzlauer Berg, Zelterstr. 6
L’apertura del locale è prevista per il 18 giugno e l’inaugurazione il 25 giugno! Per ulteriori informazioni sull’inaugurazione seguite la pagina facebook così da poter già dare un’occhiata alle prelibatezze in arrivo…
Incontro Elisabetta a casa mia, perché l’Ataya Caffè quel giorno è ancora un cantiere, ed Elisabetta giustamente vuole mostramelo ad opera finita. È una bellissima giornata primaverile, direi quasi estiva, e io e Betta ci facciamo una chiacchierata sul balcone mangiando frutti di bosco.
Conosco Elisabetta da ormai tanti anni perché portavamo i figli nello stesso asilo, e siamo sempre rimaste in contatto per diversi motivi. Ci accomuna il fatto di essere entrambe mamme ed imprenditrici, e di esserlo con tutto il cuore. Elisabetta ha da sempre inseguito un suo sogno ed un suo progetto, ha lavorato e studiato duramente per ottenerlo, ha combattuto contro la burocrazia, la lingua, le difficoltà concrete che si possono avere in un paese straniero, senza perdere mai il sorriso sulle labbra, l’empatia per le altre persone, e una grande fiducia nella vita stessa. Io posso solo dirle personalmente grazie per il continuo arricchimento personale che mi ha dato e sono orgogliosa di poter ora presentare il suo sogno realizzato.
Perché hai deciso di venire proprio a Berlino?
Ho deciso di venire a Berlino per darmi ancora una volta una possibilità più elevata di crescere e perché ero innamorata di questa città da quando avevo 20 anni. Successivamente ci sono venuta in viaggio di nozze nell’estate del 2007 e io e mio marito ci siamo infatuati di questa città .
Cosa facevi prima in Italia?
In Italia a Cagliari facevo lo chef di cucina in una ristorante vegetariano dove grazie ad un nuovo concetto ideato da me ho potuto tenere anche con successo molti corsi di cucina vegetariana e vegana.
La cucina vegana a quel tempo non era molto conosciuta, immagino.
Eravamo veramente in pochi a parlare di cucina vegana a Cagliari. Provengo da una scuola di cucina macrobiotica, che utilizza il cibo come cura. Prima di essere chef di cucina di questo ristorante vegetariano ero riflessoterapeuta, poiché avevo studiato la riflessoterapia plantare e lavoravo in uno studio; avevo studiato anche medicina tradizionale cinese; questo insieme di saperi mi ha permesso, successivamente, di incontrare nel mio cammino persone molto in gamba che mi hanno poi dato quella che è la mia attuale direzione, e ho cominciato così la mia ricerca sul cibo come cura. Dato che la mia grande passione è sempre stata la cucina, in questa associazione di riflessoterapia ho iniziato a fare i primissimi corsi di cucina: a quell’epoca avevo 21 anni ed ero incinta della mia prima figlia Chiara.
Lì ho cominciato a studiare il cibo come cura, ed è lì che sono partite tutte le mie prime scelte di vita: il parto secondo natura, il parto in casa, l’utilizzo dei rimedi naturali come cura per i bambini e tanto altro.
Dove hai imparato tutto quello che sai sul cibo?
Avevo già cominciato con i miei studi sul cibo con la mia ex suocera. Lei all’epoca era una donna molto esperta in cucina macrobiotica, una vera e propria precorritrice negli anni 70. Ci accordammo per uno scambio perché io non avevo la possibilità di pagarmi un vero e proprio corso. Ogni giorno le cucinavo, e lei mi istruiva e correggeva con tutte le sue infinite nozioni, dandomi vere e proprie lezioni di cucina. Fu per me un grande segno di solidarietà femminile.
Raccontaci della tua attività qui
L’attività qui è la realizzazione di un sogno, il concentrato di tutto il mio percorso e di 20 anni di lavoro. È uno stile di cucina creato da me, un mix di cucina vegana, vegetariana, con influenze che vanno dall’indiano all’africano, e con insegnamenti di base che provengono dai miei studi principali.
Per esempio il classico piatto di riso integrale, non è il classico piatto riso triste che veniva proposto dai macrobiotici negli anni 70, ma è diventato un riso con delle spezie con degli accompagnamenti di legumi come si fa in Senegal: è quindi una pietanza gustosa , colorata ma allo stesso tempo bilanciata.
Come mai ti fai ispirare dalla cucina del Senegal?
Perché sono spostata con un uomo senegalese, un musicista e un cuoco nell’anima e un meraviglioso esempio della sua cultura, con il quale sto condividendo questo progetto, e che mi accompagna con energia e senso pratico e, senza dubbio, mi ispira. Attraverso i nostri diversi viaggi in Senegal ho avuto l’occasione di studiarne la cucina, che però utilizza parecchio la carne. Ho quindi adeguato alla dieta vegana parecchie delle loro ricette, come ad esempio la crema di arachidi (mafè); va detto anche che la cucina senegalese utilizza tantissime verdure di ottima qualità.
Quindi che tipo di cucina troveremo nel locale?
Nel locale troveremo una fusione di cucina italo-africana, amo chiamarlo comfort food, per dare proprio l’idea di quello che offriremo: cibo che crea benessere.
Essendo la Sardegna la mia terra ci saranno anche paste fresche, ma anche molti piatti che si ottengono dai pani sardi (spianate pane carasau, pane pistocco, gallette) e che possono, una volta accompagnati, diventare lasagne, involtini, piadine: tutto sempre accompagnato con molte verdure. Avrò diverse ricette della cucina vegana crudista ma visto che a Berlino d’inverno non si scherza, proporremo sicuramente anche dei bei piatti caldi! Ci saranno dei piatti del giorno che vanno a rotazione per avere sempre dei piatti freschi che varieranno a seconda della stagione.
Gli appuntamenti fissi del locale saranno quindi il brunch del sabato e della domenica a partire dalle 11 fino alle 15.
Oltre al cibo e all’accoglienza, troveremo altre cose ?
Nel caffè ci sarà anche la possibilità di comprare sia oggetti scelti di artigianato che strumenti musicali tradizionali africani , oltre che a cibi provenienti dalla Sardegna. Non ci scordiamo che siamo a Berlino e soprattutto a Prenzlauer Berg, il regno indiscusso delle famiglie con bambini piccoli. Attrezzato anche per questa evenienza, Ataya Caffè avrà anche un angolo per i più piccoli in modo che i genitori si possano rilassare mentre loro giocano.
Da cosa viene il nome Ataya?
Ataya è il tè senegalese, famoso in tutta l’Africa. Più che un tè è un rituale, un incontro, un modo di stare insieme. Se un senegalese ti invita per un Ataya, è come dire: “dai, stiamo insieme”; si compone di tre momenti che hanno anche un significato gerarchico poiché vengono coinvolti tutti i membri. Il primo tè che viene servito è molto forte e viene dato agli uomini; il secondo, alle donne e il terzo, blandissimo, ai bambini e alle donne incinte. È un rituale che si fa ogni giorno, magari all’ombra di un albero, in cortile.
Con questo nome vuoi quindi dare a chi viene all’Ataya Caffè un’ idea di tranquillità , di avere del tempo di parlare.
Sì. È un luogo di ritrovo, dove si parla, si sta insieme. Questo è il filo conduttore dell’Ataya caffè.
Dicci qualcosa della zona in cui si trova il caffè.
La zona è Prenzlauer Berg. Ho sempre pensato e saputo che il mio posto sarebbe stato lì, e alla fine dopo ricerche varie ho trovato .
È un posto che ho cercato a lungo, perché doveva avere delle caratteristiche che siano in sintonia con me, dato che per me non è solo un lavoro ma una seconda casa! Doveva essere luminoso, con il sole (quando c’è), con una certa energia, con una strada un po’ silenziosa, con degli alberi e la possibilità di mettere i tavoli fuori.
Quindi il tuo cliente come si sentirà nel tuo caffè? Cosa ha di speciale ?
Di speciale ci sarà ovviamente il cibo ma ci sarà soprattutto la nostra accoglienza. Il nostro ospite verrà accolto in un ambiente in cui potrà godere del privilegio di sentirsi in un mondo un po’ diverso, in un piccolo rifugio di pace, dove potrà rilassarsi, mangiare qualcosa di buono e avere un momento per se stesso. Sarà presente il Wi-Fi, così anche chi vorrà venire per lavorarci o per mangiare nella pausa pranzo o per bersi un ottimo caffè espresso italiano (e biologico) lo potrà fare. Il posto, armonioso e colorato, lo permette.
Come è stato l’impatto con la mentalità tedesca?
(Betta ride) Impatto positivo! Nel senso che sono partita già con una robusta energia interiore: non mi sono fatta bloccare dalle solite cose ( “fa freddo, i tedeschi sono chiusi” etc.) e ho cercato di prendere subito le caratteristiche che mi piacciono molto di questo popolo: l’ordine, il rigore, il verde, il rispetto per l’ambiente, la puntualità come forma di rispetto. Venendo da un paese come l’Italia dove tutto è caotico e non si sa mai cosa aspettarsi, questa cosa mi ha dato molta pace e tranquillità.
Quali sono le difficoltà che un italiano può incontrare con la mentalità tedesca?
Dipende tutto dalla persona: Le caratteristiche che a me piacciono possono mettere in difficoltà: l’ estremo rigore , la coerenza fino in fondo..… la mia personale difficoltà è stata quella della lingua.
Quali sono le difficoltà che un tedesco può avere con il nostro modo di fare?
Loro sono forse un po’ impauriti dalla grande energia che noi abbiamo e dall’enfasi nel dire le cose, che può essere scambiata per aggressività. Utilizziamo toni medio-alti nel parlare e gesticoliamo in un modo che può ancora venire interpretato male.
Cosa ti ha affascinato di più e meno di Berlino?
Amo il silenzio e il verde. Di meno: la sporcizia in alcune zone della città , un contrasto molto forte con tutto questo verde. Uno non se lo aspetta!
Cosa ti manca dall’Italia?
Mi manca il mare, immensamente (e a Betta viene il nodo alla gola insieme a me).
Cosa sei contenta di aver lasciato?
Il disordine in tutte le sue declinazioni: posta che non arriva, la caoticità nei parcheggi, i labirinti nella burocrazia, la sensazione di non sentirsi ascoltati.
Quale era il tuo cibo preferito in Italia?
sicuramente la pasta fresca , i pomodori il basilico e fagiolini dell’orticello di mia nonna.
A Berlino, il mio cibo preferito è senza dubbio tutta la cucina asiatica: se ne trova di tutti i tipi e ovunque.
Hai un posto del cuore a Berlino? :
Non c’è un posto del cuore, non l’ho trovato. Nei parchi , dove ci sta il verde, io sto bene: i piccoli polmoni verdi ovunque in città , anche l’angolo di un caffè con del verde, uno Spielplatz: questi sono i miei posti preferiti. Mi piace molto anche il mercato turco al Maybachufer.
Cosa consiglieresti a chi si vuole trasferire a Berlino?
devi essere pronto a rivedere te stesso, devi essere pronto a rimetterti in gioco, ma questo vale per qualsiasi città ! Perché, per quanto non te lo possa aspettare, tirerà fuori delle cose di te che pensavi di non avere, come una grade tenacia o una particolare debolezza. È una palestra di vita, e un salire ad un livello superiore. Oppure ti fai la valigia e te ne torni indietro , come molti fanno.
3 cose da avere per essere felice a Berlino
- una dimora stabile
- flessibilità e voglia di fare
- soldi, che servono per avere il tempo per partire. Quella di venire a Berlino con 500 euro è un’utopia, bisogna venire organizzati sotto tutti i punti di vista.
Hai ancora altri sogni? Rifaresti tutto?
Sì, rifarei questo percorso altre mille volte. È stato molto più duro di quello che mi ero immaginata, ma è stato bene che sia stato così, se no probabilmente non lo avrei trovato abbastanza stimolante.
Ti senti realizzata?
Assolutamente si. Questo è non solo un punto di arrivo di un percorso. ma un punto di partenza del prossimo..
Cosa consigli a chi decide di aprire un’attività a Berlino?
Consiglio di occuparsi in prima persona di tutto quanto. Dai documenti alla ricerca locale, e di affidarsi eventualmente a qualcuno che sia un professionista serio.
Io ho utilizzato informazioni che altre persone in gamba mi hanno dato: è bene conoscere ogni dettaglio della propria attività, poiché in questo atteggiamento risiedono forza e crescita personale. Sei tu che devi essere il direttore di te stesso e della tua attività.
Quali orari avrà il tuo locale?
Sarà un Tagesbistro dalla mattina fino al tardo pomeriggio sera: la sera io non ci sarò perché voglio ovviamente seguire le mie bambine.
Che età hanno le tue figlie?
Una ha 20 anni, una 7 e l’ultima 3.
Sei un esempio che una mamma può essere anche un’imprenditrice.
Assolutamente sì: questa è una cosa che dà forza alla donna che poi a sua volta la trasmette ai propri figli; quindi un bell’esempio di indipendenza. Perché l’indipendenza è una cosa fondamentale, permette di compiere le proprie scelte liberamente senza chiedere il permesso a nessuno.
Grazie dell’intervista Betta!
Ps: il locale di Elisabetta è all’interno di un circuito internazionale di imprese che offrono sconti e vantaggi ai loro aderenti. Se volete saperne di più su questo circuito contattatemi : ruth.stirati@berlinitalypost.com
Orari di apertura: Dalla mattina alle 19 escluso il Lunedi. Per orari precisi consultare la pagina facebook.
Indirizzo: Zelterstr. 6, 10439
Come arrivare: Vicino alla S Bahn Prenzlauer Alle, S bahn e metro
Autore: Ruth Stirati