Premessa: Questo mio articolo nasce da una lettura fatta in Italia, su un libro di preparazione al mio esame di stato di abilitazione alla professione di psicologo; circa un anno prima di partire per trasferirmi definitivamente a Berlino.
Si parlava degli Italiani immigrati all’estero, e si diceva che le premesse psicologiche e il background di chi sceglie di cambiare vita e immigrare in un altro paese (cambiando cultura, lingua e stile di vita) siano molto più fertili di quelle della media. Questo perché si posseggono delle “skils” (fattori, capacità) di cambiamento e adattamento differenti. Aggiunto al “fuggire” dai problemi quotidiani di soldi, lavoro, casa e routine faceva concludere l’articolo con la teoria che gli italiani trasferiti all’estero siano più sereni e appagati dalla vita quotidiana: quindi necessiterebbero meno di aiuto psicologico da parte di professionisti.
Sono stata molto combattuta nel redigere quest’articolo per mancanza del testo e di informazioni dettagliate e statistiche. Ma penso che comunque crei un utile spunto di riflessione per chi ha deciso di intraprendere questa via e ugualmente per chi ha sempre voluto intraprenderla, ma mai ha trovato il coraggio.
Luciana Degano, psichiatra (berlinitaliana ovviamente), in un’intervista al Corriere della Sera a luglio del 2013 ha parlato anche lei di queste “caratteristiche” di chi si trasferisce; possiamo dare loro un nome scientifico: Skills di personalità; vediamo cosa sono.
Con il termine Skills si intende una gamma di abilità cognitive, emotive e relazionali di base che consentono alle persone di operare con competenza sul piano individuale e sociale. Non a caso vengono definite “skills of life” in quanto vengono utilizzate appunto per affrontare le situazioni di vita quotidiana.
Tuttavia ha aggiunto che le problematiche nel posto di arrivo sono molte e che chi non è abbastanza forte da superare i primi scogli più alti (come la lingua) molla immediatamente.
Sono sempre più gli italiani trasferiti all’estero (repubblica.it dice quattro milioni di italiani iscritti all’aire e sempre più (circa 35 mila) qui a Berlino); e i disagi, si sa, sono di notevole portata, specie se si è soli. Quando siamo circondati dalle nostre sicurezze tutto apparentemente ci sembra in ordine; il cambiamento invece scatena nella mente reazioni non sempre uguali per tutti.
Durante il mio percorso con Berlinitaly ho avuto l’occasione di intervistare diverse psicologhe italiane di peso nel panorama berlinese e il loro parere a riguardo di questo controverso tema è piuttosto unanime: e’ vero che possediamo queste skills in più, ma non è vero che abbiamo meno problemi e meno bisogno di sostegno psicologico.
Tra queste psicologhe la giovane Elisabetta Scapicchi porta a galla le problematiche legate al fatto del non essere in un contesto ”familiare”; soprattutto quello che crea la lingua. La sensazione inconscia di “non essere capiti” o non riuscire ad esprimersi, le amicizie che consentono di aprirci e confidarsi, sembrano cose scontate ma sono quelle che, quando mancano, fanno crollare la nostra stabilità e le nostre certezze. Certo, ci dice Elisabetta, che le grandi problematiche trattate dai terapeuti (depressione, ansia, disturbi alimentari…) sono sempre importanti, ma nella maggior parte dei casi portate dietro dall’Italia con un percorso interrotto e che si vuole riprendere.
Così conclude la professionista : “Ogni persona ha bisogno, nell’arco della propria vita di un supporto psicologico prima o dopo. Fuori o dentro il paese di origine”.
La psicoterapeuta Caterina Granβmann, ci dice che trovare se stessi lontani da certe regole e certi stereotipi talvolta è più facile, ci si sente più liberi, soprattutto qui in Germania dove il pensiero comune a riguardo dello psicologo è legato meno saldamente alla “salute mentale” rispetto a paesi come l’Italia; ma tuttavia in maniera molto differente a nazioni come l’America, dove per qualsiasi problematica più o meno comune ci si affida alla consulenza di un professionista; molto spesso non psicologo, pensando sia la soluzione a ogni nostro problema.
Dunque è questo il parere dei professionisti di Berlino, che hanno anche vissuto sulla loro pelle questo cambiamento e quindi sperimentatori oltre che valutatori stessi: l’italiano che parte e intraprende il cambio di vita è in qualche modo in possesso di capacità, sistemi di adattamento che facilitano la natura nelle sue esperienze. Possiede questa apertura mentale che, va detto, non significa che nessun italiano in patria possieda o che tutti quelli qui trasferiti abbiano, ma neppure che sia meno oberato da questioni di vita quotidiana, dallo stress familiare e dal lavoro, perché anche a 1500 Km da casa le problematiche rimangono le stesse.
Rimane solo il parere di chi questo passo l’ha fatto sulla sua pelle e può percepire l’entità del cambiamento subito:
Le statistiche dicono che noi italiani all’estero siamo più aperti, più pratici, più rivoluzionari, più spigliati, forse anche più fortunati in realtà …ma siamo o non siamo più… FELICI?
Ditecelo voi.
Autore: Lucrezia Butera