Lavorare per vivere o vivere per lavorare?
Cosa vuol dire realmente essere dipendente? Quanta libertà ci viene negata nel momento stesso in cui noi siamo dipendenti da qualcosa o da qualcuno? Per definizione un dipendente è sottoposto all’autorità d’altri, è soggetto a qualcun altro o a qualcosa. Possiamo essere dipendenti da una moltitudine di oggetti, dipendenti da droga, fumo, zucchero, amici, divertimento, come anche dipendenti dal lavoro o dipendenti sul posto di lavoro. Ecco, in tutti i casi la nostra libertà viene compromessa e limitata. Saremo sempre dipendenti da qualcosa? Non c’è via d’uscita dalla dipendenza? Si o no, non lo so, di sicuro ci si abitua e quella dipendenza diventa routine, parte del quotidiano, fino ad arrivare al punto in cui ci si dimentica dell’essenza reale della questione e si accetta passivamente tutto quello che la società moderna impone. Ovvero avere un lavoro, qualsiasi esso sia, bisogna lavorare per poter vivere perché senza denaro oggi si muore.
Lavorare da dipendente è dunque limitante? Sicuramente sì, ma ciò non toglie il fatto che la maggior parte della gente che popola questo pianeta sia dipendente. Chi ha la fortuna di avere un lavoro indipendente decide di gestire la propria vita in base alle proprie esigenze, ovviamente sempre relativamente, data la necessità di dover comunque portar avanti l’attività di cui ci si occupa, qualsiasi essa sia, ma sicuramente con una maggiore libertà di scelta e di organizzazione; al contrario, chi fa il dipendente per tutta la vita modella e organizza quest’ultima in base alle esigenze lavorative del capo. La mia non vuole essere una critica o una condanna dell’attuale mondo del lavoro, bensì una constatazione reale della situazione occupazionale della maggior parte della gente. Nella circostanza in cui l’azienda nella quale si lavora fornisce ai dipendenti tutto ciò di cui necessitano per condurre una vita felice, come bonus, vacanze, corsi di aggiornamento, attività ricreative, confort sul posto di lavoro e via dicendo, allora la vita del dipendente prende un’altra piega, viene valutata diversamente e sicuramente in maniera più positiva, dunque anche vissuta in modo diverso, costruttivo e favorevole alla propria vita privata; altrimenti, nel momento in cui diversi diritti fondamentali dell’uomo vengono a mancare, la vita del dipendente non è più così rosea, ma crea dei substrati sempre maggiori di frustrazione e sofferenza che vanno poi a ritorcersi contro se stessi o contro le persone a sé molto vicine.
Certo, nel momento in cui il lavoro scarseggia la situazione diventa critica, proprio perché come dicevo, senza lavoro non si guadagna e senza guadagno non si vive; c’è di buono che lavorare aiuta il cervello a mantenersi attivo, così come studiare, ma come in tutte le cose il troppo stroppia. La ricerca del lavoro è diventato uno dei principali motivi di emigrazione su questo pianeta. La gente è disposta o costretta ad abbandonare tutto per la ricerca di una vita migliore, per la ricerca di un lavoro che frutti denaro o che permetta semplicemente di vivere una vita dignitosa. È qui che tutti i diritti fondamentali dell’uomo vengono a mancare, quando un uomo è costretto a lasciare la propria famiglia nel paese di origine per andare alla ricerca di un po’ di fortuna per permettere una vita migliore ai propri cari o semplicemente a se stesso. Poi ci sono un’infinità di giovani che decidono di emigrare per tanti motivi. C’è chi con il suo spirito d’avventura vuol esplorare i meandri della Terra o c’è chi si trasferisce dall’altra parte del Mondo per vivere nuove esperienze, per conoscere diverse culture ed ampliare i propri orizzonti. C’è poi chi è costretto ad emigrare perché soffocato dalle mille problematiche che ogni giorno si susseguono e che non permettono di vivere decentemente e c’è chi emigra per cercare una vita migliore, anche se non si ha la benché minima idea di quello a cui si va in contro, si parte, con la consapevolezza di non avere altra alternativa.
Emigrare può essere molto produttivo, si imparano tante cose, si incontra gente diversa da quella che si è abituati a vedere e soprattutto si comincia a conoscere il Mondo con occhi più oggettivi, ad apprezzarlo ed a volerlo scoprire fino in fondo, ma emigrare è bello quando lo si fa per scelta e non per necessità.
A riguardo ho intervistato un ragazzo italiano di Lecco, Giovanni, 31 anni, il quale è stato costretto ad emigrare proprio per le insopportabili difficoltà economiche che la vita in Italia imponeva.
Da quanto tempo sei a Berlino?
Poco più di 2 anni.
Cosa ti ha portato a Berlino? Perché proprio Berlino?
Purtroppo è stata la crisi economica che mi ha spinto fuori dall’Italia, riuscire a mantenere un modesto tenore di vita iniziava a diventare davvero complicato, il lavoro c’era ma era difficile riuscire a sopravvivere ed arrivare alla fine del mese perché il guadagno era sempre meno e le spese erano diventate insostenibili. Fortunatamente la mia famiglia era già a Berlino da alcuni anni e quindi ho deciso di trasferirmi anch’io qui.
Di cosa ti occupavi prima in Italia?
Carpenteria e costruzione di strutture in legno. Sono stato per una vita un dipendente e finalmente negli ultimi anni ero riuscito ad essere un artigiano autonomo, è proprio per questo che ho avvertito maggiormente la crisi.
Di cosa ti occupi qui?
Faccio il pizzaiolo, è stato qualcosa di completamente nuovo, ma mi sono adattato ed ho imparato.
Com’è cambiare così drasticamente lavoro e stile di vita?
Inizialmente è stato un po’ difficile, appunto perché il lavoro era completamente nuovo per me, ma più di tutto è stato complicato abituarmi ai diversi orari lavorativi. In Italia lavoravo sempre di giorno, era una lavoro abbastanza impostato e stabilito e raramente capitavano dei cambiamenti, inoltre nel weekend ero sempre libero, mentre qui mi sono ritrovato a lavorare anche di sera, cosa che non avevo mai fatto. Ma con l’abitudine tutto rientra nella norma.
Hai trovato subito casa e lavoro?
Si, fortunatamente è stato facile perché come ho già detto la mia famiglia viveva a Berlino.
Ritieni che i salari a Berlino siano giusti o sufficienti per vivere?
Ritengo che questo possa variare dalle singole capacità individuali alle qualifiche che si hanno, poi ovviamente dipende anche dal tipo di lavoro e soprattutto dal datore di lavoro.
Hai progetti futuri da realizzare a Berlino?
Al momento no, ma non nego che delle piccole idee ci sono.
Com’ è stato l’impatto con la mentalità tedesca?
Sinceramente non l’ho trovato difficile, ma ho sicuramente ancora tanto altro da imparare e da capire della mentalità tedesca perché non conosco la lingua per cui in questo sono molto limitato, non mi sento ancora pronto nel dire di conoscere la mentalità tedesca.
Ti senti ben integrato nella società berlinese?
Purtroppo non ancora, lavoro con italiani e per la maggior parte del tempo sono a contatto con loro ed in più non conoscendo la lingua è difficile integrarmi nel vero senso della parola.
Cosa ti affascina di Berlino?
La libertà di essere, penso sia un aspetto fondamentale nella vita di ognuno di noi, essere davvero se stessi.
Cosa sopporti meno?
La sporcizia generale che c’è in questa città.
Cosa ti manca di più dell’Italia?
Ovviamente il Sole, ma penso manchi a tutti, anche ai tedeschi, e il cibo italiano, il vero Made in Italy.
Cosa invece sei felice di aver lasciato?
Sicuramente i tabù e la mentalità chiusa che solo ora mi accorgo essere ancora ben insediati nel nostro Paese. Nel nostro modo di vivere spesso diamo importanza a frivolezze, perdendo di vista le cose reali ed importanti della vita.
Qual è il tuo cibo preferito a Berlino?
Adoro i Falafel, anche se non è un cibo prettamente tedesco, lo trovo delizioso. Sono delle polpette fatte con farina di ceci e spezie, è una pietanza araba.
Qual è il tuo posto del cuore a Berlino?
In realtà non ho un posto del cuore, Berlino mi piace con tutte le sue varie sfaccettature.
Cosa consiglieresti a chi sta per trasferirsi a Berlino?
Quello che consiglierei, data la mia esperienza, è di non soffermarsi ad avere rapporti solo con italiani e di imparare subito la lingua perché è fondamentale per integrarsi nella società.
Autore: Enza Granato